Il lavoro all’Expo è una cipolla. Il cuore è il lavoro gratuito dei 7500 volontari che rientrano nell’accordo stabilito con i sindacati Cgil, Cisl, Uil il 23 luglio 2013. Le candidature sono state 17 mila, ma la cifra prevista di 18.500 non è raggiunta anche a causa delle forti polemiche alimentate dalla campagna «Io Non Lavoro Gratis per Expo».

Il secondo strato del dispositivo del lavoro gratuito è costituito dai mille volontari reclutati dal Touring club per presidiare i monumenti milanesi e guidare i turisti.

Il terzo strato è composto dai 140 reclutati direttamente da Expo nell’ambito di un programma di servizio civile. A differenza della maggioranza dei loro colleghi, questi ultimi saranno retribuiti secondo la legge sul servizio civile. Agli altri sarà concesso un buon pasto e, al termine di un lavoro da guida turistica o da assistente fieristico, riceveranno in regalo il kit del volontario Expo: una maglietta, un cappellino e un tablet per tenersi in «contatto con il mondo», così recita il ritornello del «social-washing» di Expo.

Il quarto strato è fondamentale per la narrazione tossica che usa i temi etici e della partecipazione per sperimentare un nuovo modello sociale basato sul lavoro gratuito e l’identificazione con il brand. Sono i seimila volontari che, ad esempio, il 14 giugno parteciperanno alla giornata mondiale del donatore di sangue all’Expo e Cascina Triulza.

Nel programma «Volontari per Expo», gestito da Ciessevi – Centro Servizi per il Volontariato Città Metropolitana di Milano, CSVnet – Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato, si parla di una cifra totale di volontari pari a 15 mila persone – probabilmente comprensiva di tutti gli strati della cipolla Expo – da impiegare nei sei mesi della kermesse.

Oltre al Touring, sono mobilitate la Caritas Ambrosiana e la Federazione Italiana dello Scautismo. Un «esercito di cittadini attivi», così sono stati presentati in una conferenza stampa alla Camera a Roma il 29 aprile scorso. Questo è lo strato esteriore, il più presentabile e riconoscibile agli occhi della cittadinanza. Gli organizzatori ne vanno particolarmente fieri.

Al di là delle loro intenzioni, questa frenetica attività serve a legittimare un dispositivo del governo della forza lavoro stabilito dall’accordo del 23 luglio.

Questo testa ha introdotto il lavoro gratis nel diritto del lavoro italiano; legittimato la concorrenza sleale (gratuita) degli incolpevoli volontari rispetto chi svolge la professione di traduttore, guida turistica o assistente fieristico; sovrapposto al volontariato l’ombra dell’intermediazione illecita di manodopera, un reato che prevede fino a sei mesi di carcere.

Questa intesa sindacale ha fotografato l’aspetto determinante delle politiche del lavoro attuali: esiste una piccola minoranza di occupati precari e a tempo diretti dall’Expo, 735 tra stagisti, contratti a termine e apprendisti, e i 18 mila circa che lavorano gratis o partecipano volontariamente all’economia di un’iniziativa commerciale che ha venduto 10 milioni di biglietti e viene sponsorizzata da MacDonald’s, Coca Cola o Fiat/Fca.

La sproporzione è enorme, ma rappresenta il futuro, quando una minoranza sarà occupata precariamente con il Jobs Act, mentre la maggioranza aspirerà ad esserlo lavorando senza compenso per conquistare una voce nel curriculum e visibilità personale a titolo gratuito. L’accordo milanese, siglato al tempo del governo Letta, ha anticipato un aspetto determinante della riforma Poletti sui contratti a termine e poi della madre di tutte le riforme del governo Renzi, il Jobs Act appunto.

In nome di un’occupazione irrilevante, i sindacati hanno accettato di abolire il limite sulla quantità dei contratti a tempo determinato che si possono stipulare per il personale assunto nei padiglioni dei paesi partecipanti all’Expo. Secondo l’accordo, i circa 11 mila lavoratori dovrebbero essere inquadrati con il contratto dei servizi.

I contratti stipulati dalle agenzie interinali, come Manpower, rientrano invece nel contratto del commercio. I lavoratori percepiranno fino al 30% in meno del previsto.

I sindacati sono sul piede di guerra, le associazioni di categoria delle agenzie di lavoro interinale sostengono la possibilità di rinegoziare i contratti.

Nell’attesa, quello che è certo è che l’accordo sindacale del 23 luglio è lettera morta. Giunti al primo maggio, giorno di inaugurazione dell’Esposizione Universale, si possono anche valutare gli ultimi due aspetti dell’intesa: il ricorso all’apprendistato breve per promuovere l’occupazione giovanile, sotto i 29 anni, e una regolazione degli orari di lavoro, dei riposi, delle ferie e dei permessi, oltre che una tregua sul fronte degli scioperi.

Sui 735 occupati previsti, 406 sono apprendisti (media di 26 anni per 1.300 euro), 247 «team leader» (media 36 anni, 1.700 euro), contratti a termine, e 82 stagisti (previsti 195) con un rimborso di 500 euro «come da accordo sindacale» ha precisato Manpower.

Sono note le ragioni che hanno portato stagisti e apprendisti selezionati a rifiutare di lavorare all’Expo. Sono quasi 1su 2. Per gli stagisti pesa l’assenza dei rimborsi per il trasporto o la permanenza a Milano.
Nel caso degli apprendisti i rifiuti sembrano essere arrivati per la mancanza di un piano formativo chiaro, per il lavoro festivo non retribuito e per la disponibilità 24 ore su 24 richiesta. Il grande evento richiede all’individuo massima aderenza ai suoi tempi.

E la metà dei candidati selezionati si è rifiutato di concederglielo. Ultimo punto è l’impegno dei sindacati confederali a non intentare cause né proclamare scioperi fino a ottobre, salvo gravi violazioni. Martedì scorso il 70% del trasporto milanese è stato bloccato da uno sciopero promosso dalla Cub trasporti contro il lavoro extra richiesto ai lavoratori Atm durante l’Expo. L’Expo rivela una grande fragilità del dispositivo approntato negli ultimi due anni. Il cuore precario di Milano non è visibile, ma batte e alimenta una città vetrina senza diritti.