Giunta al quarto numero, la rivista «Todomodo» (diretta da Francesco Izzo e Carlo Fiaschi, e che ha nel comitato scientifico tra gli altri Luciano Canfora, Marco Belpoliti, Domenico Scarpa) si conferma il luogo più interessante di analisi dell’opera dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia. Nonostante la cadenza annuale, che un tempo sarebbe apparsa eccessiva per una rivista (ma non oggi, periodo in cui le riviste sono quasi scomparse dalle librerie), i saggi offerti, i corredi fotografici, e a volte gli audio libri allegati, ne fanno un appuntamento da non perdere per vecchi e nuovi lettori dell’autore di Racalmuto.

Già i numeri precedenti ci avevano regalato, tra le altre cose, il Dvd con i documenti sonori di Sciascia nell’archivio di Radio Radicale e i numerosi saggi sul rapporto dello scrittore con il partito comunista, con gli intellettuali, con il potere, con la letteratura di genere, con «Il gattopardo», con la Sicilia come metafora, con l’affare Moro. Scritti che avevano contribuito ad arricchire e rilanciare l’attività dell’Associazione «Amici di Leonardo Sciascia». Con questo numero appena uscito per l’editore Leo S. Olschki, che celebra così il venticinquennale della morte dello scrittore, le interpretazioni del mondo dell’autore di racconti e pamphlet che produssero tante discussioni al loro apparire, fa un ulteriore passo avanti. Punto decisivo di questo numero è un blocco di saggi su «1912 + 1», l’investigazione di Sciascia sull’uccisione del bersagliere Quintilio Polimanti da parte della contessa Maria Tiepolo l’8 novembre 1913, in cui aleggia l’ombra di Lawrence e della sua Amante di Lady Chatterley. Il nucleo essenziale è però la scrittura di Sciascia in rapporto alla letteratura di genere giallo su cui si era già pronunciato Claude Ambroise, nel frattempo scomparso e al quale questo numero dedica un toccante ricordo, nel secondo numero («A metà degli Anni Cinquanta, il giovane Sciascia, in un articolo storico-teorico, aveva proceduto alla decostruzione del romanzo giallo. È più giusto dire quindi che i romanzi di Sciascia derivano dal modello del giallo classico ma non lo riproducono»).

E infatti i racconti e le polemiche dell’autore siciliano, compreso «1912+1» analizzato da Paolo Squillacioti, Paolo Giovannetti, Luciano Curreri, Laura Parola, Ivan Pupo, Alessandro Provera, Claude Ambroise e altri, vanno ben oltre gli schemi di qualsiasi narrativa «poliziesca», percorrendo i sentieri dell’ambiguità sociale e politica. Come nota bene Gabriele Fichera: «Sciascia ha spesso fatto della commistione tra verità e finzione non solo un felice genere di scrittura, ma anche un metodo di conoscenza della realtà». È questa del resto la forza del letterato e polemista Sciascia.

Completano il volume altri interventi tra cui quelli sul rapporto tra lo scrittore siciliano e i critici cinesi, sul carteggio Sciascia-Bartolini, il forum su «L’affaire Moro» a 35 anni di distanza, la chicca del 1971 «Gli atei li hanno inventati i preti» intervento alla Pro Civitate Christiana di Assisi.