Grazie allo sviluppo tecnologico non diventeremo tutti uguali, ma almeno saremo gentlemen di fronte al lavoro. Suonava grosso modo così la promessa di una pacifica e inesorabile evoluzione della società verso la libertà annunciata con una certa autorevolezza ormai più di un secolo fa. Una promessa che ha il carattere di incubo per uomini e donni condannati ancora a vivere nel regno della necessità. Ora l’evoluzione verso la libertà è rappresentata dalla neutralità e oggettività degli algoritmi. Sono quest’ultimi, infatti, la struttura portante di quelle che, all’alba della società post-industriale, Daniel Bell definiva intellectual technologies, il cui perfezionamento ha condotto oggi all’elaborazione dei Computer Business Systems (CBS), software preposti alla gestione e all’organizzazione di imprese sempre più complesse, integrate e globali. Si tratta di strumenti adottati regolarmente da grandi aziende multinazionali, spesso introdotte da società esterne di consulenza come Accenture e Gartner, per procedere tanto a ristrutturazioni aziendali,quanto alla normale amministrazione della forza-lavoro in chiave iper-efficientista. Eppure, per quanto diffuso sia il loro utilizzo, finora non esistevano studi sull’argomento. Una lacuna che Simon Head, docente presso l’Institute for Public Knowledge della New York University, ha provato a colmare andando direttamente alla fonte, studiando cioè i manuali rilasciati dalle aziende produttrici dei Cbs (tra queste le più note sono Ibm, Oracle, Sap).

L’astrazione del controllo

L’esito delle sue analisi sono condensate nel suo volume Mindless. Why Smarter Machines Are Making Dumber Humans (Basic Books), che può essere letto come un’«immersione» nei segreti laboratori dove la scienza del capitale comanda un lavoro immiserito, non solo e non tanto perché alleggerito sul fronte salariale, ma perché privato di quel sapere sociale e produttivo che sembrava aver acquisito nell’«età delle macchine». Il che non comporta la scomparsa delle macchine utensili del fordismo, come se di colpo fossimo tutti diventati lavorativi cognitivi, quanto piuttosto una subordinazione della meccanica alla cibernetica e all’elettronica che riconfigura il ruolo delle macchine stesse nell’organizzazione produttiva e, di converso, della forza lavoro. A fronte della comparsa di smarter machines, come recita il sottotitolo del volume, gli esseri umani stanno diventando più dumb, che in inglese ha un duplice significato: uno più colloquiale, in cui dumb equivale a stupido, e uno più formale in cui significa muto, senza capacità di articolare parole. Se l’intenzione di Head è di mostrare come l’intelligenza artificiale delle macchine abbia impoverito l’intelletto umano, è difficile però negare che la sottrazione di sapere, la sempre più accentuata privatizzazione del general intellect, ci renda incapaci di stabilire un piano collettivo di comunicazione teso a articolare una piattaforma politica comune in grado di rovesciare lo stato di cose presenti.

Per chiarire questo punto, che inevitabilmente tocca il problema centrale del «governo tecnico delle scienze», occorre iniziare dalle modalità concrete di funzionamento dei Cbs. Sono software basati su reti telematiche che connettono spazi e tempi differenti del processo produttivo, ottenendo così il duplice effetto di monitorare costantemente le attività dei lavoratori e mappare l’intera catena globale dello sfruttamento. I dati così ricavati vengono stipati in data warehouses, magazzini digitali il cui contenuto viene poi filtrato, setacciando le informazioni giudicate rilevanti per ottimizzare il processo di produzione, e riversato in data smarts. In questo deposito digitale ripulito, il management può trovare in tempo reale tutte le informazioni necessarie a valutare l’efficienza tanto dei singoli lavoratori quanto dell’intero ciclo produttivo. Alla fase di raccolta e analisi dei dati segue poi quella del problem-solving, che si traduce in una molteplicità di pratiche volte a massimizzare i profitti e a rendere i lavoratori muti esecutori dei piani formulati dai Cbs.

Dalla fabbrica all’università

Nelle loro versioni più sofisticate, i cbs mimano l’intelligenza umana, sono cioè in grado di elaborare autonomamente risposte alle criticità riscontrate in fase di analisi e di valutazione. In particolare, questo surplus di intelligenza artificiale consente a questi software di estendere la loro disciplina industriale in settori diversi da quelli tradizionalmente legati all’attività manifatturiera, come i servizi, le università, gli ospedali. A riprova di ciò va citato come anche i low e unskilled workers di Walmart si muovano freneticamente tra piantane e scaffali, sorvegliati a partire dal 2010 da «Task Manager», una tipologia di Cbs che, nel momento in cui il singolo lavoratore striscia il badge identificativo, impartisce ordini su ciò che deve fare e in quanto tempo deve portarlo a termine, mentre a fine turno emette l’agognato responso sul raggiungimento o meno degli obiettivi giornalieri. L’insuccesso può decretare sanzioni, che vanno dalla paternalistica «lavata di capo» al licenziamento, passando per una messa in scena in cui il lavoratore deve mostrarsi pentito e convincere i propri superiori della propria lealtà e abnegazione alla causa del profitto altrui. Anche Amazon si è dotato di un software gestionale capace di monitorare ogni spostamento del lavoratore, a cui viene applicato un navigatore satellitare in maniera tale che i superiori abbiano accesso in tempo reale alla sua posizione e possano stabilire se è in linea con gli obiettivi di giornata. Qualora non lo fosse, il lavoratore riceve un sms di avvertimento, corredato dalle eventuali sanzioni che potrebbero scattare se non provvede immediatamentea mettersi al passo con il suo piano giornaliero.
Un distillato di taylorismo in forma di A Brave New World che non rimane confinato nei magazzini o ai supermercati, ma si estende anche nei settori più avanzati del terziario. I Cbs sono infatti penetrati perfino nella secolare Oxford University, come racconta con una punta di nostalgia Head, che nell’ateneo britannico si è laureato. Nell’accademia britannica impera ormai il Research Assessment Exercise che, attraverso una serie di Key Performance Indicators, monitora la produttività dei singoli ricercatori e lega le loro carriere e i destini del loro dipartimento di afferenza a precisi obiettivi di produzione, trasferendo le informazioni necessarie alla valutazione a un organismo centrale che è l’Higher Education Funding Council for England.

L’esito di questi processi diffusi e ramificati si traduce in un Corporate Panopticon, un sistema di controllo automatizzato che raccoglie dati al livello più basso dell’organizzazione aziendale, generando poi un flusso informativo che aggiorna just in time una ristretta cerchia di manager che sulla base del monopolio dell’informazione possono esercitare il loro dominio incontrastato sul lavoro. Come avviene ad Amazon, il management può servirsi di capireparto dislocati nei luoghi di lavoro, a riprova del suo gusto pleonastico per le ostentazioni di forza, ma in realtà quella funzione di controllo che l’ingegner Taylor assegnava agli uomini viene ora svolta dalle macchine. Di fronte a un sistema così congegnato e animato da una logica interna inattaccabile sul piano formale, le vecchie contestazioni sul ritmo e il carico di lavoro suonano eccentriche perché parlano un linguaggio sconosciuto al sistema: possono essere tutt’al più un imprevisto, se non un errore di sintassi da risolvere con la dovuta urgenza.

La giustapposizione di controllo umano e controllo digitale nel mondo del lavoro organizzato dai Cbs segnala però una contraddizione interna al processo di spersonalizzazione del comando. Nel fare affidamento su un’intelligenza artificiale generale, il capitalismo postindustriale si basa in realtà su algoritmi «umani, troppo umani», elaborati da specialisti nelle Information Technologies che, conoscendo bene il materialismo volgare dei propri clienti, li «confezionano» in base alle esigenze dei loro «committenti». Nonostante la loro matematica neutralità, gli algoritmi si rivelano così costose merci particolari «piene di sottigliezze metafisiche» che ambiscono a obliterare il carattere sociale del rapporto di capitale spacciandolo per una incontestabile formula matematica. In virtù di una superiore razionalità formale, gli algoritmi sostituiscono all’ingombrante fisicità delle macchine l’immaterialità di un comando onnipervasivo e computabile, che può essere messo in discussione solo da un sapere altrettanto quantificato che risulta però inaccessibile a «proletari» in formato digitale. In altre parole, questi algoritmi sono le armi più raffinate del technical intellect che trasforma i lavoratori in algide rappresentazioni elettroniche. Se di fronte alla vecchia macchina utensile il lavoro umano finiva per svolgere un’attività di mediazione tra l’oggetto e la macchina stessa, ne costituiva cioè il braccio animato, i Cbs esprimono una normatività sociale che ingloba al suo interno tutti i fattori del ciclo produttivo, lavoro compreso.

Di fronte alle trasformazioni prodotte dall’adozione sempre più diffusa delle It non basta nasconderci dietro la rassicurante ipotesi che siamo ormai tutti operai di fronte al capitale, nell’attesa che una nouvelle classe ouvrière di colletti bianchi e blu finalmente si desti. Semplicemente perché il technical intellect contenuto in questi software è uno strumento all’altezza dei tempi: è duttile, sa operare classificazioni, non presta il fianco a concetti vaghi e non è così diabolico da perseverare nei vecchi errori. Né basta a confortarci un ideale di cooperazione difficile a tradursi in pratica, quando essa dovrebbe sgorgare proprio da una riappropriazione di saperi che appaiono talmente rarefatti da risultare inafferrabili. Va quindi riconosciuto al capitalismo la la capacità di aver aggredito la contraddizione che lo innerva tra il carattere sociale e cooperativo della produzione e l’appropriazione privata dei suoi prodotti. E di averlo fatto operando su quella che Marx chiamava la «capacità scientifica oggettivata». Mentre erode il nostro sapere sociale, il rinnovato technical intellect del capitale riscrive le regole della cooperazione sociale a suo uso e consumo. Il suo lessico parla agli odierni lavoratori dumb con modi che non richiedono risposte se non quelle già previste dal sistema stesso.

Una lunga marcia

Ciò non significa che nella realtà i lavoratori siano soltanto dei muti esecutori. Le lotte dei lavoratori di Walmart e il coraggioso esperimento di dare vita a quell’ibrido organizzativo, metà associazione e metà sindacato, che è OURWalmart dimostra che c’è uno spazio aperto all’azione operaia. Dimostra cioè che la potenza normativa dell’algoritmo ha un limite. E, però, dal libro di Head, che sul piano prescrittivo si limita all’auspicio di una maggiore presenza dei sindacati e di consumo responsabile, sembra che la via d’uscita resti confinata in una dimensione empirica e pertanto incapace di aggredire il capitale sul piano della sua astratta razionalità.

L’apparentemente incontrastabile sussunzione della società globale al capitale alimenti infatti il dubbio che gli attuali tempi di bassa conflittualità abbiano generato un’iperfascinazione per la lotta, «quella vera», che talvolta serve più a eccitare le coscienze infelici dei militanti – e al tempo stesso a sedarle, rassicurandole sulla retta via della storia – che non a rovesciare i rapporti di forza reali. Una lotta di classe che si ferma all’empiria, che non è capace di produrre una diversa razionalità a partire dalla concretezza in cui è immersa, è destinata alla sconfitta. O, tutt’al più, a diventare una variabile dipendente facilmente calcolabile da un algoritmo.

Una versione in forma di saggio dell’articolo sarà pubblicata sul sito Internet: www.connessioniprecarie.org