«In primo luogo dicono, seguendo il testo della Genesi, che Dio creò due grandi «luminari» – un luminare maggiore e uno minore – perché uno presiedesse al giorno e l’altro alla notte; e ci vedono designati allegoricamente due poteri, lo spirituale e il temporale. Quindi deducono che come la luna, il luminare minore, non ha una luce se non nella misura in cui la riceve dal sole, così anche il potere temporale non ha autorità se non in quanto la riceve dal potere spirituale».

All’immagine del sole e della luna, tipica della propaganda pontificia e della polemica guelfo-ghibellina, dove l’uno dei due poteri era paragonato al sole che splende di luce propria, e l’altro alla luna che splende di luce riflessa, nel De Monarchia (da cui la citazione è tratta) Dante sostituiva quella della «due lune», pontefice e imperatore, che prendono entrambe luce dall’unico sole che è Dio. È indubbio che, quando si pensa alla rappresentazione medievale dei due principali astri, la polemica tra papato e impero è ciò che sembra evocarli maggiormente.

Radici antiche
Ma non è tutto qui: la simbologia del sole e della luna ha radici più profonde e ramificate, che mantengono legami con le tradizioni precristiane, rilette alla luce della nuova fede. Il primo elemento con il quale confrontarsi, per il cristianesimo, è stato il legame fra gli astri e le divinità arrivate a Roma dall’Oriente. Idoli del sole e della luna erano associati alle divinità che più di altre erano entrate in concorrenza con il cristianesimo dei primi secoli.

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È il caso dei Misteri di Mithra, divinità iranica pressoché sconosciuta nel mondo romano sino al I secolo d. C. Mithra era originariamente una divinità solare, come se ne conoscevano numerose nell’area compresa tra Egitto, Persia e Grecia; mentre però il culto a lui reso rimase confinato nell’ambito iniziatico e nell’esercito, quello tipologicamente simile, siriaco, dell’Helios-Iupiter di Emesa ebbe subito carattere pubblico e istituzionale, e al principio del III secolo venne introdotto anche a Roma come culto del Sol Invictus da Caracalla e poi da Sesto Vario Avito Bassiano, detto Eliogabalo o Elagabalo perché in giovane età era divenuto sacerdote del Dio Sole venerato a Emesa col nome di El Gebal, «La Potenza (divina che risiede) sulla Montagna».

Sul versante femminile, la figura di Iside era passata dall’Egitto alla Grecia ellenistica a Roma: la Iside misterica di Apuleio, al pari di quella del culto imperiale che nel III secolo, associata a Serapide, compare nelle monete di tanti imperatori. Tanto i simboli solari quanto quelli lunari le sono cari; sul suo capo di solito è raffigurato il semicerchio delle corna di Apis – a formare una falce di luna – nel quale è inscritto il disco solare. La triade Osiride-Iside-Horus, nelle sue numerose varianti, e soprattutto l’iconografia di Iside lactans la rendevano allo stesso tempo concorrente rispetto al cristianesimo ma anche facilmente assimilabile all’immaginario della nuova fede. Furono questi i principali culti che si trovarono in diretta concorrenza con il cristianesimo, per la presenza di alcuni elementi di somiglianza formale, e forse anche perché rispondevano a medesime esigenze di rinnovamento socio-religioso.

Fra gli Atti degli Apostoli apocrifi si trova la Vita di Tommaso, databile al 250 ca. e di area siriaca. A volte erroneamente ritenuto il missionario dell’India meridionale, Tommaso portò invece la parola cristiana in un’area compresa presumibilmente tra gli odierni Iran orientale, Afghanistan e Pakistan. Il primo re presso il quale l’apostolo predica è un personaggio storico, vissuto nella prima metà del I secolo e rispondente al nome di Gondophernes o Guduphara. Dopo numerose avventure Tommaso viene condotto nel tempio di un dio del Sole; qui l’Apostolo pronuncia una requisitoria contro l’adorazione delle immagini, simboli dell’idolatria: «Dimmi, o re, chi è migliore, tu o la tua immagine? Non dubito che tu sei superiore alla tua figura. E come mai voi lasciate il vostro dio per adorarne l’immagine?». La statua del Sole è d’oro, con una quadriga di cavalli dello stesso metallo. Il riferimento al dio del Sole va legato all’ambientazione dell’apostolato di Tommaso; il nome del re che si oppone alla conversione (Mesdeo o Mazdai) rimanderebbe piuttosto al mazdaismo di area iranica, e potrebbe allora far pensare a un culto simile a quello mithraico, o piuttosto a una confusione fra questo e il dio Sole di Emesa. Ma anche nel mondo indiano del nord-ovest, cioè quello indo-partico, essa potrebbe trovare una spiegazione: la casta guerriera degli Ksatria vanta quali antenati mitici il sole e la luna.

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Diveniva insomma necessario per il cristianesimo da un lato desacralizzare i due astri per sottrarli all’aura pagana, dall’altro inscriverli nell’immaginario cristiano e sottolineare così il loro far parte del creato divino. I primi secoli dell’evangelizzazione dell’Europa sono costellati dalle denunce di numerosi vescovi (da Massimo di Torino a Cesario di Arles a Martino di Braga) del culto reso agli astri o di cerimonie come il «Vinceluna», quando l’eclissi era accompagnata da grida per aiutare l’astro a risorgere. Allo stesso tempo, quel formidabile strumento didattico che è l’iconografia illustrava con le immagini forti della creazione come gli astri dovessero la loro esistenza alla volontà di Dio: per esempio, nei mosaici del duomo di Monreale, oppure in quelli di Coppo di Marcovaldo nel Battistero di San Giovanni a Firenze.

Un significato analogo va assegnato al tema iconico della Crocifissione in cui il sole e la luna rappresentano la compartecipazione del cosmo intero al martirio del Figlio di Dio: d’altro canto, la narrazione biblica mostrava numerosi esempi di quanti, grazie all’intercessione divina, avevano controllato gli elementi: come nel passo in cui Giosuè impone al sole e alla luna di fermarsi per consentire a Israele il massacro degli amorrei. Inoltre, nei primi secoli di diffusione del cristianesimo si affermò l’iconografia del Cristo come Helios, agevolata da riferimenti scritturali – in Malachia, per esempio, si parla di un Messia come Sol iustitiae – e dal fatto che la data convenzionale adottata fra III e IV secolo per la nascita di Gesù andava a obliterare la festa del Sol invictus.

Altrettanto interessante l’iconografia della Vergine, legata tanto ai simboli lunari quanto a quelli solari. L’apertura del dodicesimo capitolo dell’Apocalisse ha dato vita nel corso del medioevo – e anche oltre – a diverse interpretazioni: la donna nel cielo «avvolta nel sole, e la luna sotto i suoi piedi e sulla sua testa una corona di dodici stelle» (Apoc., 12, 1), è forse il simbolo celeste di Israele, ma è stata identificata da numerosi autori con la Vergine Maria, già a partire dall’alto medioevo, e poi con più insistenza dal XII secolo: un secolo che decretò la centralità del culto mariano in Occidente. Da essa deriva l’iconografia di Maria in sole e di Maria che sovrasta la falce lunare, e che si collegava peraltro al tema della regalità.

La moda astrologica
Anche nel pieno dell’età cristiana i simboli solari e lunari potevano essere associati a persistenze di paganesimo. In pieno XII secolo Giovanni di Salisbury denunziava nel Polycraticus coloro che credono nel corteo di donne al seguito di una nocticula e di Erodiade. Nocticula sta in realtà per Noctiluca, cioè lux in nocte, quindi la luna, vale a dire uno dei tre aspetti della triforme Diana-Ecate-Luna. Si può pensare che qualche sopravvivenza di paganesimo folklorizzato associasse la luna alle divinità pagane che, spesso assimilate a Iside dalle acculturazioni precristiane, avevano avuto questo astro come loro simbolo? È probabile, com’è invece certo che proprio Iside e il mito egizio incontrarono una nuova fortuna a cavallo fra Tre e Quattrocento; si trattava in questo caso non di una credenza popolare, bensì di una riscoperta «colta», evidenziata in autori come Giovanni Boccaccio e Christine de Pizan.

Sol+Invictus
Ancora, nella seconda metà del Quattrocento Marsilio Ficino eseguiva la traduzione dal greco del Pimander e degli opuscoli ermetici. Ermete Trismegisto diveniva così il più antico civilizzatore, precedente rispetto allo stesso Mosè, e l’Egitto antichissimo era la terra cui guardare per scoprire l’origine di ogni civiltà. Sebbene possa sembrare un paradosso, è nella Roma di Alessandro VI Borgia che il mito dell’Egitto trovò il suo pieno dispiegamento, con Iside e Apis-Osiride al centro di un tessuto iconico-narrativo teso in termini contingenti a celebrare i Borgia, che avevano il toro quale loro emblema, ma in senso più ampio volto a riscoprire un’antichità da contrapporre a quella greca-ellenica.

Non dobbiamo poi dimenticare che la moda astrologica riportava in auge questi simboli. Nonostante secoli di cristianizzazione, condotta da una parte con le armi dell’idoloclastìa, dall’altra con quelle dell’acculturazione, le mitologie solari e lunari di origine precristiana non solo persistevano, ma si attualizzavano a contatto con istanze e acquisizioni culturali nuove. Così, se al tempo della conversione dell’impero il Chrismon con la ruota a sei raggi, simbolo cosmico e solare, aveva significato il trionfo del nuovo Sol invictus, il Cristo, nel Quattrocento Bernardino da Siena sceglieva quale simbolo della nuova evangelizzazione di una società che egli reputava ben poco cristiana, il trigramma del nome di Gesù inscritto non casualmente in un sole in campo azzurro-blu.

 

SCHEDA

Al tema del sole e della luna sono stati dedicati diversi studi. In primo luogo, quelli che indagano il tema dei rapporti fra papato e impero: per esempio Othmar Hageneder, «Il sole e la luna. Papato, impero e regni nella teoria e nella prassi dei secoli XII e XIII» (Vita e Pensiero 2000) oppure Glauco M. Cantarella, «Il sole e la luna. La rivoluzione di Gregorio VII papa 1073-1085» (Laterza 2005). Ma il testo di riferimento sull’argomento è un volume che raccoglie gli Atti di un convegno svoltosi a Vicenza nel 2001, dal titolo «Il Sole e la Luna.

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Teorie, immagini, simboli» (Sismel/Edizioni del Galluzzo 2004): qui il tema del papato e dell’impero passa in secondo piano (pur non essendo assente) e si privilegiano interventi sulla simbolica degli astri. Vi abbondano dunque gli studi sull’astrologia, magia astrale, usi letterari, storia della scienza. Anche al di fuori dalla dimensione europea il tema ha sviluppi interessanti. C’è per esempio una bella mostra itinerante realizzata a Montréal dal nel 2013 («Peru: Kingdoms of the Sun and the Moon / Perou: les Royaumes du Soleil et de la Lune»), con relativo catalogo (a cura di N. Bondil e V. Pimentel), che piacerebbe vedere anche in Italia. La simbolica astrale era essenziale in tutte le civiltà dell’America precolombiana, e al sole e alla luna sono dedicate alcune delle più celebri piramidi, a partire da quella messicana di Teotihuacán.