Più passano i giorni e più si delineano i fronti di quella che potrá essere la resistenza americana a Trump. Capofila istituzionale, al momento, Bill De Blasio, sindaco di New York, che non potrebbe avere posizioni più antitetiche a quelle del suo concittadino e neo presidente eletto. Recandosi a un incontro ufficiale alla Trump Tower, mercoledì, De Blasio ha ribadito a Trump che la cittá che lui amministrata non accetta i rastrellamenti degli immigrati illegali.

Durante la breve conferenza stampa seguita all’incontro, il sindaco di New York è apparso determinato a proseguire su questa linea dura, definendo l’incontro con Trump produttivo in quanto i punti a lui cari, la difesa dei suoi concittadini più deboli, erano stati veicolati senza parafrasi e si è detto preoccupato alla fine, più che per una sua mancanza di chiarezza, per i problemi di traffico che sta creando l’avere il presidente eletto come residente del centro di Manhattan, su quella porzione di 5a avenue costellata di negozi lussuosi. «Non sto dicendo che Gucci e Cartier siano in cima ai miei pensieri – ha precisato ai giornalisti De Blasio – ma che non voglio che questa zona diventi un incubo di traffico per i newyorchesi o per i turisti».

Posizioni in difesa dei diritti dei propri cittadini nei giorni passati erano arrivate anche dal governatore dello Stato di New York, Cuomo, dalla polizia di Denver e di Los Angeles che ha giá precisato che non si presterá ai rastrellamenti di cui parla Trump.

Intanto le manifestazioni non si fermano, e giovedì, a Washington e ha New York, si è svolta la prima manifestazione espressamente contro Bannon, il quale ha più volte espresso posizioni definibili come razziste. La comunitá ebrea-americana, dall’elezione di Trump, ha visto comparire in varie cittá svastiche sui muri e messaggi minatori; l’associazione IfNotNow.org ha organizzato una marcia che unisce tanto la comunitá ebraica con quella musulmana e su Twitter ha lanciato l’hashtag #JewishResistance, dove molti citradini ebrei rassicurano i cittadini musulmani che non verranno lasciati soli e che ora sono uniti in una lotta contro la discriminazione.

A New York, giovedì dalle 9 del mattino, centinaia di giovani ebrei hanno marciato verso la sede della squadra di transizione di Trump; IfNotNow ha inoltre invitato le federazioni ebraiche del Nord America a rilasciare una dichiarazione congiunta contro Bannon e poco dopo giá 1.700 persone avevano firmato la petizione online e venti organizzazioni ebraiche, tra cui sette federazioni ebraiche locali avevano rilasciato dichiarazioni contro Bannon. Per domenica prossima, il gruppo ha in programma un presidio davanti al gala annuale dell’Organizzazione Sionista degli Stati Uniti, dove è invitato anche Bannon.

«Da ebreo, da cittadino, da americano, trovo intollerabile ciò che questa amministrazione, ancora prima di insediarsi ha sdoganato – dice Seth, uno degli organizzatori della marcia – i miei bisnonni sono scappati dal nazismo in Germania, e adesso io qua, nella loro terra di adozione, devo vedere questo scempio senza fare niente? Noi siamo un target indiretto, ma i miei concittadini musulmani sono il bersaglio principale, e sai cosa? La storia ha insegnato a noi ebrei che nessuno è al riparo quando un fascista se la prende con un gruppo, il razzismo si propaga. È nostro dovere ora essere al fianco della comunitá musulmana».

Quella della prossima domenica non è l’unica manifestazione giá in programma, si stanno preparando fin da ora una serie di contestazioni e cortei per il giorno dell’insediamento di Trump, il 20 Gennaio a Washington, e per il giorno immediatamente successivo.
Il 21 gennaio, infatti, è prevista la Million Women March, una corteo che si prefigge di portare in piazza un milione di donne che si oppongono alla politica sessista e misogina del nuovo presidente, non in quanto femministe, ma in quanto esseri umani che si sentono insultati e che vedono i propri diritti in pericolo.