La Cina prosegue imperterrita nel negare un problema ad Hong Kong. La stampa continentale è completamente certa che i manifestanti stiano sfidando la legge, recando un grave danno all’immagine e al più generale ambiente economico e finanziario dell’ex colonia.

Ieri il South China Morning Post, il principale quotidiano di Hong Kong, ha provato invece a capire cosa pensino delle proteste i tanti cinesi presenti a Hong Kong. È bene infatti ricordare che ormai parecchi cinesi vivono nell’ex colonia e che la massa di turisti che dalle città del Regno di Mezzo arriva nell’isola è immensa. Tanto che nei giorni di festa per il sessantacinquesimo anniversario della Repubblica popolare, pare che il governo cinese abbia chiesto ai compatrioti di pensarci due volte, prima di andare a trascorrere le vacanze a Hong Kong (terra di grandi acquisti da parte dei nuovi ricchi e di splendide isole come ad esempio Lamma Island).

Tanto per dare un’idea di quanto Hong Kong abbia una grande e sempre crescente popolazione di immigrati dal continente, nell’ultimo anno sarebbero stati rilasciati quasi 20mila visti di studio, secondo i dati del Dipartimento Immigrazione, il 16,3 per cento in più rispetto al 2012. Circa 8mila nuovi visti sono stati rilasciati ai cittadini «continentali» sotto lo schema «talenti e professionisti della terraferma». Molti di più sono quelli «che vanno a lavorare a Hong Kong con un visto di lavoro normale». Secondo i dati del governo dell’isola, più di 40 milioni di cinesi continentali hanno visitato Hong Kong lo scorso anno, aumentando la vendita al dettaglio e l’economia del turismo del territorio, ma favorendo anche il sentimento anticinese.

Ariel Lee, uno studente della regione cinese dell’Heilongjiang, ha detto al South China Morning Post, che i «continentali» sono spesso visti erroneamente come rappresentanti del governo di Pechino, esattamente quanto «gli abitanti di Hong Kong non hanno scelto e da cui non si sentono rappresentati».
«Siamo considerati alla stessa stregua di una maledizione. Noi studenti del continente, spesso ci sentiamo in imbarazzo, perché se abbiamo idee diverse su Occupy Central, non possiamo esprimerle come gli altri abitanti di Hong Kong, perché questo ci farebbe passare come filo governativi».

L’account WeChat (un’applicazione cinese molto simile a Whatsup ) Hong Kong Drifters Circle, popolare tra la comunità di immigrati dal continente ad Hong Kong, ha invitato i suoi 50.000 abbonati a condividere i loro pensieri sul movimento di disobbedienza civile con l’hashtag «Sono a Hong Kong e ho qualcosa da dire». La maggior parte dei membri del gruppo ha espresso opposizione al movimento con slogan come «Mantenete la calma» o «Voglio andare a fare shopping in Temple Street» (una delle zone dove c’è un popolare mercato notturno).

Uno studente della Baptist University, ha detto di essere contrario alla protesta perché «il risultato sarà un sicuro fallimento: non credo che Pechino cambierà idea a causa di Occupy Central, anzi. Tutte queste proteste e manifestazioni, possono solo finire per irritare Pechino. Ed è la cosa che ci preoccupa di più». Poco dopo però la censura è intervenuto: il post di WeChat che ha lanciato la campagna è stato eliminato.

Ieri alcuni attivisti e giornalisti di Hong Kong hanno anche denunciato di essersi visti censurare i propri account su Weibo, il Twitter cinese, prodotto dalla Sina (quotata al Nasdaq) e controllato dal governo di Pechino. Nei commenti dei pochi articoli comparsi sulle vicende di Hong Kong sui media statali, infine, gli utenti cinesi si sono espressi quasi tutti in modo contrario a quanto sta accadendo ad Hong Kong.