Questa è una lettera di scuse indirizzata alle comunità di migranti che arrivano nel nostro Paese spinte da un sogno: trovare una vita migliore, senza fame, guerra, razzismo, povertà, esclusione sociale, ma anche che potranno finalmente esprimere i loro talenti, lavorare per un equo salario, avere una casa dignitosa, vedere crescere i figli come parte integrante e riconosciuta di una società che li ha accolti e che si trasforma anche in virtù del loro apporto culturale.

Questa è una lettera di scuse per la morte del corpo sognante di Emmanuel, ucciso a Fermo da chi tutto questo non solo non lo accetta, ma lo combatte con i mezzi più atroci, arrivando direttamente dall’insulto all’omicidio.

Questa è una lettera di scuse perché non abbiamo più orecchie, noi che da sempre siamo impegnati nel sociale, nella difesa dei Diritti, nella cooperazione internazionale allo sviluppo, ma che non riusciamo a fare la differenza, nonostante i buoni propositi, perché rimaniamo divisi al nostro interno da differenze e ripetizioni che all’orizzonte dei problemi odierni appaiono, e sono, insignificanti.

Un omicidio razzista verso un migrante che ha rischiato la sua stessa vita per arrivare ad essere riconosciuto come essere umano, nella sua dignità e diritti, come recita il primo articolo della Dichiarazione Universale, è qualcosa che non avviene per caso, per errore, per una fatalità, o almeno non solo.

La cultura che ha prodotto quell’assassinio è un rumore di fondo potente, sempre più distinto, sempre più orchestrato in una vera e propria musica di morte che dovrebbe suonare alle nostre sensibilità come tale e che invece ancora ci sfugge, impegnati come siamo a prestare orecchio alle voci della politica politicante, dei piccolo posizionamenti tra correnti di partitini o residui storici di una sinistra che, solo per noi, resta un riferimento fattivo, mentre la società reale, composta anche da coloro i quali una volta dovevamo rappresentare, organizzare, portare addirittura al potere, ora ci volge non solo le spalle, ma guarda in direzione opposta a come credevamo che sarebbe andata la Storia.

Questa è una lettera di scuse ad Emmanuel perché non abbiamo saputo intercettare il suo sogno, farlo nostro, sognare con lui e come lui.

Cosa sogniamo noi? Cosa sognano le anime sparse della sinistra? Chi ci manda i sogni?

Una volta questa era, ed è ancora, la domanda chiave, da porre a chi vorremmo non solo ascoltare, ma da chi dovremmo finalmente imparare, per comprendere non solo l’essenza di chi affronta viaggi che fanno sembrare l’Odissea un tour dei club Mediterranee dell’epoca, ma la nostra stessa ragione di essere.

Siamo ancora in grado di farci attraversare dal sogno di Emmanuel e di sua moglie? Possiamo soltanto concepire la forza che muove oltre il rischio quotidiano della morte e delle vessazioni, questi corpi in movimento su una terra rotonda che ancora, però, noi pensiamo piatta?

Chi non ha Immagini immaginanti, chi non coltiva in se stesso la visione del Mundus Imaginalis, della trama che connette tutte le forme di esistenza, non può accedere né tantomeno cambiare la realtà.

Ci siamo molto allontanati da questa rete invisibile già molto tempo fa, quando il materialismo, storico o meno, ci ha sollevato dal coltivare, dall’incubare, i nostri sogni per farne lo strumento di governo della materia.

Adesso viviamo inconsapevoli nel Regno della Quantità, e difficilmente vediamo da differenza tra quantitativo, la forma e qualitativo, la sostanza.

Eppure, ecco l’arcano, i corpi materiali dei migranti, dei «dannati della terra» come profetizzava Fanon, tornano a parlarci dei loro sogni, fanno dei corpi, del soma, un sema, un simbolo, quello di un amore più forte della vita, di un amore visionario che non esita a sacrificarsi pur di affermarsi come principio di trasformazione della realtà.

Se interroghiamo questa parte di noi, che dorme ma non sogna più, che tende solo al risveglio rapido o all’insonnia intellettuale perché abbiamo paura di addormentarci nell’incubo delle nostre contraddizioni puramente materiali, allora forse torneremo finalmente lucidi, svegli, vigili, come solo la forza di chi sogna a costo della vita può rendere.