Mohammad Javad Zarif, ministro degli Esteri iraniano, siederà domani al tavolo della diplomazia mondiale a Vienna. L’invito è arrivato dal Dipartimento di Stato Usa, che cede così alle pressioni che da tempo giungono da Europa e Russia: l’Iran deve essere parte della soluzione della crisi siriana.

Siederà di fronte ai suoi storici avversari: Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar. A loro si aggiungeranno Libano, Egitto, Iraq e Giordania. Un incontro regionale (ma gestito da Europa, Russia e Usa) che potrebbe gettare le basi per una transizione politica reale, anche se opposizioni e governo non saranno presenti. Tanto importante che la Francia, non invitata, si è infilata lo stesso: Parigi – dopo aver ospitato martedì un più stretto round di negoziati – ci sarà, fa sapere il governo.

Ma al di là delle brame neocoloniali europee, la novità resta l’Iran: paese leader dell’asse sciita di cui Damasco è parte integrante, guida delle milizie libanesi, siriane e irachene che combattono le opposizioni, Teheran ha investito denaro e uomini nel presidente Assad. È l’Iran che decide la strategia militare, muove le truppe, mantiene finanziariamente in piedi uno Stato devastato, con prestiti e investimenti dal valore di miliardi di dollari.

E sul campo di battaglia l’Iran c’è, nonostante dica di aver inviato solo consiglieri: militari iraniani combattono al nord, al centro e al confine con il Libano al fianco di Hezbollah. Sono i numeri a parlare: sarebbero almeno 200 i soldati della Repubblica Islamica morti in Siria, caduti in combattimento e non dietro una scrivania. Vittime che aprono dibattiti nell’opinione pubblica interna che chiede maggiore transparenza al presidente Rowhani.

Costringere l’Iran ancora all’angolo era impensabile: senza Teheran una soluzione politica è impossibile. Una valutazione che ha obbligato Washington a cancellare l’embargo diplomatico. Immediata la risposta di Teheran: «Abbiamo valutalo l’invito – ha detto il portavoce del Ministero degli Esteri – Il nostro ministro prenderà parte al dialogo». A far pendere la bilancia a favore dell’Iran è stata l’autorità russa, ma anche la rinnovata potenza economica che l’accordo sul nucleare garantirà al paese: lo sblocco dei fondi all’estero e i contratti milionari che Teheran siglerà con l’Occidente nel settore energetico permetteranno di investire ancora di più in Siria.

Ovvia anche la reazione delle opposizioni siriane che vedono nella partecipazione iraniana l’ennesimo ostacolo alla precondizione che pongono per avviare il negoziato, ovvero la testa di Assad: «Coinvolgere l’Iran minerà il processo politico – è stato il secco commento di Hisham Marwa, vice presidente della Coalizione Nazionale Siriana – Il suo unico progetto è mantenere Assad al potere».

Una mezza verità: la Repubblica Islamica sa che per garantire i propri interessi non può permettere la sparizione di Assad. O, meglio: non può permettere la sparizione dell’establishment politico alawita, lo stesso che la Russia intende salvaguardare, che sia guidato o meno dall’attuale presidente. Quello che il direttore della Cia, Brennan, ha detto ieri – «Non penso che la Russia veda Assad nel futuro della Siria» – non è una novità. È probabile che il presidente si eclisserà, una volta che la transizione sarà definita. Ma il suo allontamento non significherà la sconfitta di un sistema di potere, che né Teheran né Mosca possono permettersi se vogliono tagliare i traguardi politici che si sono prefissi.

«Il ruolo giocato da Bashar al-Assad sarà importante – ha detto in un’intervista al The Guardian il vice ministro degli Esteri iraniano Abdollahian – Non stiamo lavorando perché Assad resti al potere per sempre, ma siamo consapevoli del suo ruolo nella lotta al terrorismo e nell’unità nazionale. Il popolo siriano prenderà la decisione finale».

Il popolo la prenderà ufficialmente, alle urne, ma saranno gli equilibri mondiali a imporre il futuro alla Siria. Così come lo imporranno al resto del Medio Oriente, che la crisi siriana ha stravolto: l’apertura all’Iran taglierà le gambe ai grandi oppositori dell’asse sciita (Turchia e Arabia Saudita) che sono ormai consapevoli che l’accordo con il 5+1 ha segnato la fine della guerra fredda all’Iran. Una conseguenza inevitabile anche a causa della debolezza delle opposizioni moderate. Chi negozierà con Assad? La Coalizione Nazionale, se mai obbligata al dialogo, non rappresenta la popolazione, lontana dal campo di battaglia e arroccata nell’esilio all’estero.