Dal 16 dicembre addio periodici spagnoli su Google news. Così hanno deciso i responsabili del colosso americano del web. Motivo dello scontro fra i padroni del sito più visitato al mondo e le autorità di Madrid è la nuova legge sulla proprietà intellettuale, approvata lo scorso 30 ottobre dal parlamento, che entrerà in vigore dal primo gennaio.

La normativa prevede che gli aggregatori di notizie – Google news è il principale – debbano pagare «una compensazione equitativa» agli editori dei periodici per la riproduzione di contenuti tratti dalle pagine web d’informazione. Basta anche soltanto un link, e la tassa va pagata.

«Un servizio come Google news non genera introiti e porta beneficio ai siti di notizie», dicono dalla Silicon Valley. «Per questo motivo con la tassa diventa economicamente insostenibile mantenere attivo l’aggregatore in Spagna».

Per il governo iberico la decisione è precipitata: «Dobbiamo ancora scrivere i regolamenti attuativi, c’è un ampio margine di negoziato», sostiene il ministro della cultura José Ignacio Wert, figura tra le più controverse dell’esecutivo conservatore del Pp. Secondo Wert, probabilmente colto di sorpresa dalla dura reazione dell’azienda californiana, non è detto che il «compenso equitativo» debba essere alto o per forza uguale per tutti gli operatori.

La controversia potrebbe risolversi «alla tedesca»: nella Repubblica federale esiste una normativa simile, che lascia tuttavia alla libera facoltà dei singoli editori decidere se, e a quali condizioni, esercitare i propri diritti verso Google news. Risultato: in molti hanno preferito rinunciare ai soldi e continuare a comparire su quel sito. Il problema è che la legge spagnola non consente questa possibilità ma stabilisce che il diritto all’equo compenso è irrinunciabile: per fare come in Germania i regolamenti attuativi di cui parla il ministro dovrebbero in un certo senso derogare alla norma. Cosa, ovviamente, impossibile.

A spingere per far approvare a tutti i costi questa legge sono stati gli editori dei giornali riuniti nell’associazione Aede (Asociación editores diarios españoles). Dall’altra parte della barricata la Coalición pro Internet formata da media digitali e attori della web economy, convinti che la nuova normativa sia inutile: «I problemi della carta stampata non li risolvono norme come questa» afferma Nacho Escolar, direttore del giornale online di sinistra eldiario.es. «Scompare un servizio su internet che è positivo sia per i mezzi di informazione sia per i lettori».

Fronti contrapposti anche in parlamento: a favore era solo il Pp, che gode di una comoda maggioranza assoluta (ma nei sondaggi è in caduta libera), e contro tutti gli altri.

La querelle vedrà sicuramente sviluppi nei prossimi giorni. «Aver fatto scappare Google dalla Spagna» è la fin troppo facile accusa che le opposizioni potranno indirizzare al già malconcio Pp nei prossimi mesi di campagna elettorale (a maggio le amministrative, in autunno le politiche).

È probabile che qualcuno dei protagonisti cerchi ora di capire meglio quanto traffico Google news veicoli effettivamente verso i siti d’informazione: perché il succo della questione è stabilire se l’aggregatore californiano sia solo una specie di pirata oppure offra davvero un servizio che avvantaggia anche le pagine web dei giornali. Secondo uno dei primi studi sul tema – ripreso dall’autorevole NiemanLab.org –, la quota degli utenti che arrivano a un sito d’informazione tramite Google news varia fra il 5 e il 25%.