«Londra val bene un referendum», avrà pensato David Cameron, mentre ne prometteva uno sull’Europa in chiave anti Ukip pur di vincere le elezioni. Ora che le ha vinte, gli tocca sorbirselo. Dopo l’indipendenza scozzese e i matrimoni gay in Irlanda, l’istituto referendario si ripresenta come capace di alterare gli storici equilibri giuridico-istituzionali delle isole britanniche: dall’assetto interno del Regno unito a quello di quest’ultimo nel contesto europeo.

Uno strumento il cui uso anche il Labour party ha ora deciso di perorare in extremis, dopo averlo sempre avversato. Harriet Harman, leader Labour ad interim, ha ribadito domenica scorsa il voltafaccia del partito sulla spinosa questione referendaria. «Non cercheremo di opporci, perché non riusciremmo. Né sembra esserci consenso sufficiente a spingerci a capitanare le fila dell’opposizione a un referendum che ormai sembra del tutto irrevocabile. Abbiamo quindi deciso di sostenerlo, per poi affrontare le grandi questioni del pro o del contro l’Europa» ha detto ai microfoni della Bbc. Il Labour ha dunque ufficialmente annunciato il proprio dietro front sul referendum sulla permanenza del paese in Europa, che aveva osteggiato fintantoché guidato dal frettolosamente derubricato Ed Miliband.

Questo poco prima che Cameron – nella frugale residenza di campagna di Chequers – ricevesse mellifluo il presidente della Commissione europea Juncker, il rovinoso latore d’interessi eurocentrici contro la cui elezione tuonava meno di un anno fa. Sorbendo compìto il the con l’astuto Juncker, l’ex eurocrate che aveva fatto invano di tutto per silurare, Cameron cercava di strappargli un flebile consenso per ciò di cui ha un disperato bisogno: la ratifica degli stessi trattati Europei che Merkel e Hollande hanno in cima alla lista di cose che si premureranno di non fare mai.

Tanto che i due hanno appena annunciato che lavoreranno ad accordi per una casomai più serrata integrazione europea. Cameron era inoltre reduce dall’entusiasmo cimiteriale con cui la maggioranza degli stati membri lo aveva accolto a Riga nel weekend, nonostante si fosse presentato con un «sonoro» mandato (del 37 per cento dei voti) al suo primo summit europeo da leader di un monocolore conservatore. Il leader Tory e un Labour party momentaneamente decapitato si affrettano dunque entrambi a fare il contrario di quello che avevano detto, come accade non di rado in politica anche su questi puritanissimi lidi.

La ratifica ai trattati europei voluta dal Premier è naturalmente del tutto improbabile. Ma gli serve tornare a casa con uno straccio di risultato, così da calmare gli ultrà euroscettici alla sua destra e a poter fare poi così una campagna per la permanenza nell’Ue. Quella con Junker è stata la prima tappa di una charm offensive che lo porterà in Francia, Germania, la fresca di elezioni Polonia e l’Olanda, per convincerli sulla visione di Londra per un’Europa a doppio livello, i cui nodi sono tutti all’insegna del limitare: l’accesso di migranti europei ai benefit come la circolazione di uomini; le occhiute procedure burocratiche di Bruxelles – che soffocano la spumeggiante verve imprenditoriale nazionale – come la possibilità da parte di membri dell’eurozona di imporre cambiamenti al mercato interno che riguardino paesi fuori dall’eurozona stessa. Infine, per scongiurare alla Gran Bretagna l’ulteriore integrazione nel progetto europeo.

Il tutto quasi in contemporanea all’annuncio che la procedura elettorale per il referendum sarà la stessa delle elezioni politiche e non quella delle amministrative o delle europee. Significa che voteranno gli irlandesi, i cittadini del Commonwealth e quelli di Malta e Cipro residenti in Uk. E basta. Tutti al di sopra dei 18 anni, in modo da togliere ai più giovani la possibilità di votare a favore all’Europa, cosa che i loro coetanei scozzesi avevano potuto fare a favore della sventata uscita della Scozia dall’unione. In tutto 45,3 milioni di persone, tra cui non figureranno tutti coloro che avrebbero avuto interesse a votare contro l’uscita: il milione e mezzo di cittadini dell’Ue residenti in Uk, così come tutti i cittadini britannici che vivono in Europa, stimati attorno ai due milioni.