«Una risposta arriverà entro il primo febbraio», parola di Pier Carlo Padoan che dall’Ecofin di Bruxelles smentisce così le voci di una decisione italiana favorevole allo scontro frontale con la Commissione europea. Ma lo fa solo in parte.

Prosegue infatti anticipando che nella lettera promessa «saranno sicuramente considerate le spese necessarie per emergenza e ricostruzione. Mi aspetto misure del governo già la settimana prossima». E aggiunge un colpo di stiletto: «Molti di noi hanno auspicato che l’Europa prendesse atto che non si può continuare come se non fosse successo nulla, soprattutto in questo anno molto complicato per noi».

Da Madrid, dopo l’incontro con il premier spagnolo Rajoy, è lo stesso Gentiloni a scendere in campo per confermare sia la disponibilità che la rigidità: «Confido che la Ue non sarà cieca e sorda: farebbe un pessimo servizio a se stessa. Come sempre rispetteremo le regole europee ma non accetteremo manovre che possano avere effetti depressivi. In Italia non c’è alcuna instabilità».

La mancata risposta all’ultimatum della Commissione europea, che chiede all’Italia di chiarire pubblicamente e ufficialmente entro il 31 gennaio come intende reperire i 3,4 miliardi chiesti dalla Ue, sarebbe stato il segno della rottura e forse un passo senza ritorno. A cinque giorni dalla scadenza, l’Europa sembra infatti restare inflessibile, nonostante la trattativa in corso ormai da due settimane. Dopo l’uscita dura del Commissario all’Economia Moscovici, che giovedì aveva chiarito che le spese per il terremoto non potranno essere computate in questa manche, ieri è stato il turno del vicepresidente della Commissione Dombrovskis: «Dall’Italia ci aspettiamo impegni precisi».

[do action=”quote” autore=”Paolo Gentiloni”]«Confido che l’Ue non sarà cieca e sorda.  In Italia non c’è alcuna instabilità. C’è bisogno di politiche espansive, non di manovre depressive»[/do]

L’impegno a rispondere nei tempi richiesti è un segnale comunque conciliante e Padoan frena anche su un altro passaggio cruciale, la scelta italiana di subire persino la procedura d’infrazione pur di non mettere in cantiere quella manovra aggiuntiva reclamata dall’Europa. «Una procedura d’infrazione – puntualizza il ministro dell’Economia – sarebbe un grande problema per l’Italia in termini di reputazione, una inversione a U».

L’ammorbidimento del ministro dell’Economia potrebbe essere il riflesso di una divisione tra lui, e forse tra l’intero governo, e il segretario del Pd.

Le voci su una strategia di guerra erano infatti partite proprio dal Nazareno e sembravano preludere a una campagna elettorale tutta giocata dal Pd su toni se non proprio antieuropei almeno di estremo anti-rigorismo.

Più probabilmente però la divaricazione segnala invece il doppio registro sul quale l’Italia intende muoversi: da un lato la minaccia di uno scontro deflagrante nell’anno in cui la Ue si gioca tutto, dall’altro la disponibilità a una conciliazione, ma non in termini di resa.

Di conseguenza è probabile che la risposta alla Commissione sarà in termini ancora interlocutori. L’Italia confermerà l’intenzione di non arrivare ai ferri corti con Bruxelles ma allo stesso tempo ribadirà che non si può chiedere una manovra aggiuntiva che, deprimendo la ripresa, avrebbe effetti controproducenti proprio sul debito. Di fatto è la linea anticipata già ieri da Gentiloni: «L’Italia ha bisogno di politiche espansive, non di manovre depressive».

L’obiettivo è arrivare a una doppia mediazione, con la diminuzione e possibilmente il dimezzamento della cifra indicata e con lo slittamento dei tempi sino a metà aprile, così da permettere al governo di inserire le misure necessarie nel prossimo Def senza dover ricorrere a quella che, comunque la si chiami, resterebbe una manovra aggiuntiva. Se la replica europea sarà negativa, però, il governo di Roma dovrà scegliere tra la linea battagliera che tenta i vertici del Pd e quella moderata incarnata proprio da Padoan.

Sulla decisione influiranno considerazioni politico-elettorali molto più che non economiche. Una situazione conflittuale sarebbe finalizzata a una campagna elettorale in giugno tutta giocata su temi anti-europei con la palese intenzione di competere direttamente con Grillo che proprio ieri, dal suo blog, ha lanciato un attacco frontale contro l’euro: «Rinviare l’uscita dall’euro costa all’Italia circa 70 mld all’anno. Un referendum che consenta agli italiani di scegliere sull’euro è essenziale».

Allo stesso tempo, un clima così teso renderebbe più probabili le elezioni prima dell’estate, in nome della necessità di affrontare la situazione con un esecutivo non in via di scadenza: «ad interim», come lo definisce Dombrovskis.

Del resto proprio il quadro europeo è il principale motivo della fretta elettorale di Renzi.

Arrivare al voto dopo una manovra durissima come quella che si profila per l’autunno sarebbe un mezzo suicidio, e d’altra parte se bisogna arrivare a uno showdown con Bruxelles meglio farlo ora, quando ufficialmente c’è in ballo una posta limitata, che non in autunno, quando tra lo scatto della clausola di salvaguardia in settembre, il cambio della guardia all’Eliseo tra aprile e maggio e le elezioni in Germania a settembre o ottobre le cose potrebbero assumere tratti ben più drammatici e definitivi.