«Quanti di voi mi avevano indicato come l’ultimo presidente del senato? E invece no». C’è la soddisfazione per lo scampato pericolo dietro la franchezza con la quale Pietro Grasso decide di parlare ai giornalisti parlamentari, che incontra per il rituale scambio di auguri natalizi. Rimasto in silenzio durante la campagna elettorale per il referendum, Grasso si prende la sua rivincita su Matteo Renzi. Naturalmente senza mai citarlo, ma criticandolo praticamente su tutto: dallo stile – «il dibattito politico non può essere ridotto all’arena per lo scontro di personalità ipertrofiche» – alle scelte politiche sui temi più delicati, Jobs act, riforma elettorale e riforma costituzionale. Fino ai programmi per il futuro: «Non posso immaginare che a decidere sulla durata della legislatura influiscano le singole velleità di leader, partiti e movimenti, o addirittura la paura di altri appuntamenti referendari. Sarebbe irresponsabile e controproducente».

Il presidente del senato non immagina una conclusione rapida della legislatura: «Non vorrei che si passasse senza soluzione di continuità dalla campagna referendaria e quella elettorale». Anche perché «mentre leader e parlamentari continuano a parlare di data del voto e legge elettorale, a mettersi da soli medaglie sul petto, fuori da questi palazzi c’è un paese sofferente». Non che Grasso sottovaluti l’urgenza di una nuova legge elettorale, al contrario non manca di fissare qualche paletto: dovrà consentire ai cittadini di «partecipare» e di «scegliersi i propri rappresentanti». Perché «una delle spinte principali» alla grande partecipazione e alla vittoria del No al referendum, «non è da escludere» che sia stata proprio il rifiuto popolare di «quei marchingegni tecnici fatti di listini bloccati e pluricandidature», caratteristici dell’Italicum. E così nell’indicare la strada per una nuova legge, Grasso in pratica fa l’elenco di tutto quello che si è trascurato per approvare l’Italicum: «Un percorso ordinato prevede che la legge elettorale nasca dall’iniziativa dei parlamentari, che le commissioni e le aule possano discutere approfonditamente ed emendare la proposta, e approvarla infine sulla scorta dei suggerimenti della Consulta». Con una raccomandazione che rovescia il tic renziano: «Prima il valore costituzionale della rappresentanza, poi quello della governabilità».
Il presidente del senato vede un paese «fuori dai Palazzi» assi diverso da quello descritto dal Pd renziano. Nel referendum «sono le fasce più deboli economicamente ad aver mandato un messaggio chiaro», «dal 2013 a oggi per loro la situazione non è migliorata molto se pensiamo all’uso indiscriminato dei voucher». Proprio i voucher che sono l’obiettivo di uno dei referendum che spaventano Renzi. Ma Grasso non si ferma, e avverte l’ex premier che «nessuno può con troppa facilità appropriarsi dei 13 milioni e mezzo di Sì», quella che invece è precisamente la tentazione renziana.

Quanto alle possibili riforme costituzionali, Grasso innanzitutto spiega che «è necessario che si tratti di scelte ampiamente condivise». Poi che molte cose possono essere fatte con la revisione dei regolamenti parlamentari, per esempio con «una diversa attuazione dell’articolo 72 comma secondo della Costituzione attraverso l’introduzione di una corsia preferenziale per le leggi urgenti» (proposta che sul manifesto ha fatto Massimo Villone). E poi ancora Grasso smonta un altro caposaldo della mancata riforma Renzi-Boschi, o meglio della propaganda che l’ha accompagnata: «Per il futuro è bene tenere il piano del risparmio ben distinto da quello del funzionamento» delle istituzioni.
Prima di chiudere, il presidente del senato ricorda polemicamente come la campagna per il referendum abbia spinto il governo a bloccare i lavori del senato. E fa un lungo elenco di leggi rinviate: «Codice penale, delitto di tortura, concorrenza, riforma della cittadinanza, contrasto all’omofobia, norme sul cognome dei figli». Finisce con un richiamo alla stampa, che dovrebbe avere «una maggior cura e verifica delle fonti, magari evitando di sentirne solo una, con il rischio di prestarsi a giochi di sponda con il potere politico e economico». Ma anche questa, a ben vedere, è una critica al renzismo.