L’«effetto Vajont» c’è stato, e rapido, inatteso. Con l’onda lunga delle polemiche di ritorno che hanno travolto la commissione Grandi rischi. Si è dimesso, infatti, il vicepresidente dell’organo consultivo, Gabriele Scarascia Mugnozza, in rottura con il presidente della commissione, il fisico Sergio Bertolucci. Quest’ultimo, lo scorso 22 gennaio, ha usato l’espressione «effetto Vajont» riguardo alla diga di Campotosto (L’Aquila) e al cataclisma che potrebbe verificarsi, in quella zona, in caso di terremoto di magnitudo 6 o 7.0. Luogo in questo periodo sotto osservazione, perché interessato dall’ennesimo sciame sismico.

Sulla vicenda si è espresso ieri anche il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, all’inaugurazione dell’anno giudiziario a L’Aquila, Giovanni Legnini, che ha bacchettato la Grandi rischi definendo la comunicazione passata «grave e dannosa che tanto allarme ha determinato nei cittadini e nelle istituzioni».

La Grandi rischi, riunita due giorni prima, in seguito al terremoto del 18 gennaio, aveva lanciato l’allerta: «Nella zona di Campotosto c’è il secondo bacino lacustre più grande d’Europa con tre dighe, una delle quali su una faglia che si è parzialmente riattivata e ci possono essere movimenti importanti di suolo che cascano nel lago, per dirla semplice sarebbe “l’effetto Vajont”». Un richiamo – quello alla catastrofe del 9 ottobre 1963, con 1.917 morti, causati da una frana precipitata nel bacino artificiale – che ha suscitato allarme e paura. Subito dopo gli esperti si sono affrettati a precisare che «non c’è un pericolo imminente. Da tempo la diga di Campotosto viene studiata dalla Protezione civile e da tutti gli organismi deputati». E l’Enel, che gestisce la struttura, a sua volta ha spiegato: «La diga è sicura, ma alla luce della difficile situazione idrogeologica di questi giorni si è comunque deciso, come misura cautelare, estrema, di procedere ad una ulteriore progressiva riduzione dell’acqua, già ridotta del 40%».

In campo è sceso subito il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, che ha convocato un vertice. Il responso è stato che «dai controlli effettuati non sono emerse criticità per le dighe del centro Italia dopo le recenti scosse, ma si dovrà comunque intensificare il monitoraggio per prevenire pericoli». Ma le rassicurazioni postume non bastano: i sindaci dei comuni interessati continuano a chiedere indicazioni sul da farsi e c’è chi chiude le scuole a tempo indeterminato. L’Aquila e il suo comprensorio, ma anche centri del Lazio e dell’Umbria, sono nel panico. Bertolucci, alla gogna, ha continuato a ripetere di essersi espresso male e di essere stato travisato e, sul sito della Protezione civile, ha pubblicato una lettera in cui si assume comunque la responsabilità del pasticcio generato ed esprime «rammarico per avere involontariamente contribuito ad aggravare lo stato di ansia delle popolazioni già così duramente colpite».

Nella lettera ribadisce anche che i terremoti non si prevedono e che, dunque, la commissione fornisce solo una «valutazione scientifica dei possibili scenari» senza che questo possa essere interpretato come «una previsione localizzata in tempo, luogo e magnitudo di un terremoto». Questa piena assunzione di responsabilità, tuttavia, non è evidentemente bastata al suo vice, Scarascia Mugnozza, irritato dal fatto che le parole del presidente sono state comunque associate alla Grandi rischi nonostante nel verbale della riunione non si facesse alcun riferimento al Vajont. Le dimissioni dello scienziato sono sul tavolo del Dipartimento della Protezione civile che dovrà ora inoltrarle alla presidenza del Consiglio dei ministri.

È destino che la Grandi rischi debba “sbattere” contro L’Aquila e il suo territorio.