La settimana di visita ufficiale del presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella negli Stati uniti è iniziata dalla Casa bianca dove per la prima volta è avvenuto l’incontro con il presidente americano Obama. Che non fosse un rituale scambio di cortesie tra due presidenti lo si capiva dalla delegazione che ha accolto il presidente italiano ed il ministro degli esteri Gentiloni; non solo Obama ma anche il vice presidente Biden ed il segretario di Stato Kerry.

I temi in questo incontro erano i più delicati: la situazione in Libia, la crisi di accoglienza europea con i migranti, il tutto anche in vista dell’appuntamento di Mattarella di mercoledì al palazzo dell’Onu, tappa importante della campagna che l’Italia sta conducendo per ottenere un seggio tra i 10 membri a rotazione nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Per scegliere i cinque stati si voterà a fine 2016 e l’Assemblea generale dovrà approvare le candidature. Dopo l’incontro nello studio ovale Obama ha dichiarato ai giornalisti presenti che la collaborazione con l’Italia, è strategica anche geograficamente, «Permetterà di aiutare la Siria a costruire la propria capacità di sicurezza per respingere e vanificare gli sforzi dello stato islamico per ottenere un punto d’appoggio in quel paese».

Obama ha anche ringraziato l’Italia per l’impegno a protezione della diga di Mosul in Iraq: «Ho ringraziato tantissimo l’Italia per il contributo notevole per l’addestramento dei militari in Iraq e per il ruolo importante che svolgerà a protezione della diga di Mosul che è di estrema importanza per il popolo iracheno» ha detto il presidente Usa al termine dell’incontro, aggiungendo che con Mattarella hanno parlato di come «sforzi congiunti per aiutare la Libia a formare un governo permetterà alle loro forze di sicurezza di stabilizzare il loro territorio e neutralizzare l’Isis». Mattarella ha sottolineato che «la stretta collaborazione transatlantica ci consente oggi e ci consentirà in futuro di fronteggiare sfide nuove e sconfiggere i nemici della pace e dei diritti umani». La dichiarazione di Obama che non cita raid e presenza sul territorio, arriva il giorno precedente la votazione in New Hampshire e dopo una settimana di dibattiti dove entrambi i partiti sono stati chiamati a rispondere su sicurezza e terrorismo internazionale.

Una dichiarazione come quella, a seguito di un incontro con una controparte che arrivava presentandosi già contraria ad un ulteriore uso delle armi, rimarca ancora una volta la differenza di approccio dei due partiti americani. Proprio due giorni prima Ted Cruz, il candidato repubblicano di estrema destra che ha vinto le primarie in Iowa, si era espresso sullo stesso tema parlando di «bombardamenti a tappeto mirati» incurante dell’ossimoro che una tale dichiarazione genera. Questo incontro tra il presidente italiano in carica ed il presidente uscente americano, porta a pensare come potrebbe essere un meeting sullo stesso argomento se il prossimo comandante in capo degli Stati uniti fosse uno qualsiasi dei candidati repubblicani ora in corsa dove le dichiarazioni di partenza, fatta eccezione sorprendentemente per Jeb Bush che ha parlato di soluzioni diplomatiche, sono molto più belligeranti che strategiche.

Stesso tipo di approccio sul tema della crisi europea con i migranti. Secondo Obama, la crisi dei migranti «è un problema non solo europeo ma globale, che mette sotto pressione gli Stati uniti e il rapporto transatlantico». Il presidente americano ha detto di voler «vedere una cooperazione tra la Nato e l’Europa per far fronte alla crisi umanitaria e smantellare le reti di traffico di esseri umani».

Non la costruzione di un muro, insomma, ma l’implemento di uno sforzo nei confronti delle comunità di migranti. Per Obama la crisi dei profughi e dei migranti ha un «impatto terribile sull’Europa e sull’Italia in particolare». La sua amministrazione sta valutando l’utilizzo di asset americani nel contesto della Nato. L’idea, ancora in fase embrionale, è che gli Usa si propongano per aiutare non solo nel pattugliamento della sicurezza ma anche in quelli umanitari. Per evitare che si presentino gravi crisi come in passato che destabilizzano i Paesi sviluppati e «impediscono la prosperità di quelli in via di sviluppo».