La slavina è appena agli inizi e i vertici di Bruxelles ancora non sanno come arginarla. Non erano passate neppure 24 ore dalla cena tête-à-tête tra Angela Merkel e Francois Hollande al ristorante Zuem Ysehuet di Strasburgo, organizzata da Martin Schulz per riferire loro, con ogni probabilità, dell’incontro avuto ad Atene con Alexis Tsipras, che da Madrid arrivava la notizia della Puerta del Sol riempita, come ai tempi degli Indignados, dai cugini spagnoli di Syriza, quella Podemos che non è più solo un movimento di protesta ma mira a prendere il governo in Spagna, da qui a qualche mese. Temevano la destra estrema delle Le Pen e dei movimenti neonazisti (un pericolo ancora vivo, visto che già ieri, a meno di una settimana dal voto, Alba Dorata ha manifestato ad Atene), i leader europei, ma ora si trovano a dover fare i conti anche con una sinistra nuova che avanza e mette in discussione i paradigmi dell’austerità e del neoliberismo.

La reazione, per ora, è la solita. La premier tedesca, parlando all’Hamburger Adenblatt, ha mandato a dire a Tsipras che «l’obiettivo è che la Grecia resti nell’Eurozona» e all’opinione pubblica tedesca che «l’Europa continuerà a mostrare la sua solidarietà alla Grecia come agli altri Paesi particolarmente colpiti dalla crisi se questi faranno le riforme e applicheranno le misure di risparmio». Il messaggio rimane sempre lo stesso: avrete i soldi (che in gran parte servono a ripagare i creditori internazionali) solo in cambio delle privatizzazioni e dei tagli alla spesa pubblica che vi abbiamo chiesto. Ma il governo Tsipras ha già risposto nei fatti, prima ancora che il ministro delle Finanze Yannis Varoufakis affrontasse di petto il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloom e gli dicesse che la Grecia non intende più sottostare all’austerità che gli è stata imposta: ha bloccato la vendita dei porti del Pireo e di Salonicco, nonché della raffinerie e della compagnia elettrica, e ha inoltre reintegrato 3.500 statali licenziati, mandando in soffitta il Memorandum.

Cosa accadrà di qui alla fine di febbraio, quando l’Ue dovrebbe sbloccare sette miliardi di aiuti per Atene? Tsipras lo aveva ribadito a più riprese in campagna elettorale, convinto che alla fine l’Europa gli avrebbe dato fiducia: «Sappiamo che dovremo scontrarci e siamo preparati ad andare fino in fondo». Ieri, alla vigilia della partenza di Varoufakis per la Francia (anticipato a oggi l’incontro con il ministro delle Finanze Michel Sapin, domani sarà a Londra e martedì a Roma per incontrare il nostro Pier Carlo Padoan), il premier greco si è fatto vivo inviando una dichiarazione via mail, dai toni rassicuranti, all’agenzia Bloomberg: «Il mio obbligo a rispettare il chiaro mandato del popolo greco di metter fine all’austerità e tornare a un’agenda di crescita non impedisce in alcun modo di rispettare i nostri obblighi del prestito verso la Bce o il Fmi».

Però, ha spiegato, «ci serve tempo per poter tornare a respirare e creare il nostro piano di ripresa a medio termine, che comprenderà obiettivi per il pareggio di bilancio primario e riforme radicali per affrontare l’evasione fiscale, la corruzione e le politiche clientelari». Il tempo che, secondo il primo ministro di Atene, gli ha concesso la scorsa settimana il presidente della Bce Mario Draghi.

Di questo Tsipras discuterà, al più presto, con il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker, che lo aveva invitato a Bruxelles dopo il voto. Come si concluderà questa partita a scacchi appena cominciata è difficile dirlo, ma di sicuro ai vertici comunitari non è andato giù che il governo greco, appena insediato, abbia di fatto licenziato i funzionari della troika e considerato carta straccia i Memorandum firmati dai governi precedenti.

Così come non sarà andato loro giù che ieri, mentre le reciproche diplomazie organizzavano incontri e i leader si scambiavano segnali attraverso i media, Varoufakis destituiva i vertici dell’agenzia per le privatizzazioni.