Più si avvicina l’elezione del nuovo presidente della reppublica ellenica da parte del parlamento – nel prossimo febbraio scade il mandato di Karolos Papoulias -, più l’esito si fa incerto ad Atene. E il clima politico diventa ogni giorno più pesante, mentre si torna a parlare, spesso in modo strumentale, del «rischio Grecia».

Non solo perché la maggioranza formata da Nuova Democrazia e Pasok non raccoglie i 180 seggi necessari per ottenere l’elezione di un candidato presidente della reppublica desiderato da una coalizione di governo ormai frantumata, oltre che isolata dalla stragrande maggioranza dei cittadini, ma per il fatto che Syriza, la sinistra radicale greca, sarà, secondo tutti i sondaggi, il prossimo vincitore nelle elezioni politiche. A prescindere dalla data del ritorno alle urne – nel marzo prossimo, e comunque in anticipo, come desidera il leader dell’opposizione Alexis Tsipras, oppure tra un anno come avrebbe voluto il premier conservatore Antonis Samaras – la differenza tra i due partiti, Nuova Democrazia e Syriza, aumenta sempre a favore della sinistra.

La prospettiva di un governo delle sinistre non piace affatto né alla leadership politica ed economica che per decenni ha governato e continua a governare il paese, responsabile della gravissima crisi economica e sociale, né ai sostenitori e creditori internazionali che in Syriza vedono un «nemico di classe» che va contro i loro interessi.

Un eventuale cambio della guardia politico, questa volta sostanziale, ad Atene, avrá ripercussioni non solo in territorio ellenico, ma in tutto il vecchio continente e di ciò ne sono tutti consapevoli. Infatti, la guerra contro la sinistra radicale greca è già cominciata. Una guerra, spesso subdola e altre volte aperta, condotta usando tutti i mezzi e non soltanto i grandi media, che mira da una parte a terrorizzare nel vero senso della parola gli elettori greci che intendono votare per Syriza e dall’altra ad annientare l’avversario politico.

Lo scambio di accuse spesso pesanti supera il savoir vivre politico dentro e fuori l’aula parlamentare. «Syriza mira alla destabilizzazione del paese», «Le banche chiuderanno, se vince la sinistra», «I dipendenti pubblici non saranno più pagati», «Il paese va in default» sono le dichiarazioni che si sentono pronunciare dai ministri, mentre parlamentari dell’opposizione affermano che i loro colleghi indipendenti che avrebbero deciso di votare per l’elezione del presidente della reppublica sono dei «venduti».

Nel gioco politico è entrata negli ultimi giorni anche la procura dell’Arios Pagos, il tribunale supremo ellenico, che ha ordinato un’ inchiesta per verificare la fondatezza di un servizio pubblicato su un quotidiano di Atene che poi è stato riprodotto dal portavoce del Syriza, secondo il quale esiste «una cassa di risparmio nascosta per la raccolta di denaro da parte di amici del governo allo scopo di corrompere alcuni deputati e convincerli a votare a favore dell’elezione del nuovo capo dello Stato per evitare in questo modo il ricorso anticipato alle urne».

Il clima d’incertezza si è appesantito ancora di più negli ultimi giorni a causa delle controversie tra Atene e la troika (Fmi, Bce, Ue) per l’eventuale fuoriuscita della Grecia dal programma di salvataggio. Ciò non significa certo la fine del programma lacrime e sangue, visto che l’austerity continua, ma il ritorno del paese nei mercati internazionali. Atene è pronta ad affrontare questo passo decisivo, come sostiene Samaras, impopolare e debole più che mai, e che proprio per questo motivo vuole fare concessioni al suo elettorato? Oppure la Grecia non è affatto pronta, come invece affermano i suoi creditori internazionali, che ritengono prematuro tale passo in quanto «non sono state attuate ancora le riforme necessarie»?

Non a caso la borsa di Atene ha registrato un calo pauroso del 5% mercoledi scorso e di un altro 2,22% ieri, precipitando sotto la soglia psicologica dei mille punti, nonostante in favore di Atene siano intervenute le dichiarazioni rassicuranti del portavoce della Commisione europea. Inoltre, i tassi d’interesse per i titoli di Stato a dieci anni hanno superato la soglia del 7%, ritornando ai livelli del marzo 2012, mentre i funds stranieri stanno abbandonando la Grecia. I mercati, insomma, sono preoccupati per un’eventuale uscita del paese dai memorandum e per i rischi che le elezioni anticipate comporterebbero per l’economia nazionale. E ovviamente per i loro interessi.