Non ci sono tanti teatri oltre alla Fenice di Venezia che possono offrire spettacoli quasi venti giorni al mese, e alternare con agio il Rossini buffo a due titoli della «trilogia popolare» verdiana (La traviata e Il trovatore) offrendo una un livello medio più che buono e evitando gli scogli della routine del teatro di repertorio. Il Trovatore non è forse lo spettacolo più immacolato fra quelli in cartellone a fine estate, lo salvano la grande luna – ora lattea ora di brace –che domina le belle scene e un cast equilibrato e motivato, in cui spicca il tenore Gregory Kunde. Dopo l’Otello che gli è valso premi e successo, ecco un nuovo debutto, piuttosto inatteso per il maturo tenore statunitense.

Quando ha iniziato a pensare a Manrico?

Non da molto; i debutti degli ultimi tre anni mi hanno fatto comprendere meglio la direzione da prendere. Questi titoli verdiani in passato non li avevo nemmeno studiati, non pensavo che li avrei interpretati. In fondo qualcuno può anche obiettare che non si comincia da Verdi con Otello, come più o meno ho fatto io. Accanto a Manrico ora sto studiando La forza del destino e il prossimo debutto sarà in Luisa Miller.

Quanto è stato aiutato dalla sua specializzazione nel repertorio del ‘belcanto’ romantico?

Le parti verdiane sono impervie, ma per me sono più agevoli proprio grazie all’esperienza nelle opere di Bellini, Donizetti,e del Rossini serio, che mi hanno dato una sicurezza tecnica preziosa per cantare Verdi. Quando interpreto il Trovatore affronto Manrico come un’estensione del Belcanto romantico e nel settore acuto della voce sono sorretto proprio dalla tecnica belcantistica, ormai ben sperimentata.

Quindi la famosa ‘Pira’ la preoccupa meno di ogni altra cosa?

Sembro uno sbruffone se dico che mi diverte molto cantarla? Mettiamola così: la canto in tono, senza abbassarla, anche perché per me tenerla in do maggiore, come è scritta, è più facile, visto il mio tipo di organizzazione vocale.

Nel passaggio da tenore lirico a tenore spinto e drammatico haricevuto anche qualche proposta folle?

Tante, non immagina. Comunque la pressione più costante è venuta da chi mi voleva indirizzare verso Wagner: Parsifal Tristano, anche Sigfrido. Sono lusingato, ma non ho mai accettato perché ho la casa e il cuore nel repertorio italiano e non sono convinto che la mia tecnica vocale mi sosterrebbe al meglio nelle parti di Wagner.

Se lei dovesse dare un consiglio a un giovane tenore, potrebbe mai sostenerlo nell’idea di cantare Manrico o Otello?

Dipende dalle voci, naturalmente. La mia idea di fondo è che ci deve essere una progressione. Un atleta non si mette a correre i diecimila metri al primo allenamento. Si procede per gradi e i muscoli che sorreggono la voce possono fortificarsi. All’epoca in cui ho iniziato tutti i grandi tenori arrivavano almeno a 35 anni di carriera, e questo dovrebbe essere il fine ultimo di un cantante. Una professione dura per la vita, non per 15 i anni. Certo occorre dire spesso di no.

Se dovesse indicare una delle parti di belcanto che vorrebbe tenere in repertorio per sempre?

Ne azzardo due: Puritani, anche se so che non mi sarà più possibile cantare Arturo, la mia voce oggi è troppo pesante; ma è la mia parte preferita. E Otello di Rossini, un personaggio meraviglioso che spero di continuare a interpretare sempre.