Passano poche ore e l’endorsement di Beppe Grillo per Donald Trump si riverbera sui giochi politici nazionali, facendo circolare di nuovo retroscena sull’alleanza dei pentastellati con la Lega di Salvini. Il leader aveva parlato ai francesi del Journal du Dimanche, ribadendo la sua simpatia per il neo-presidente Usa e formulando attestati di stima per Putin. Grillo aveva definito Trump un «moderato» da apprezzare per le sue idee protezioniste. E Putin? «In politica estera è quello che dice le cose più sensate». Ieri il blog ha diffuso una sua versione dell’intervista, visto che a una prima smentita era seguita la conferma dei francesi, i quali avevano spiegato che lo stesso Grillo aveva rivisto e approvato il testo da pubblicare. Oggetto del contendere si è rivelato essere la traduzione. Alla lettera, Grillo afferma: «La politica internazionale ha bisogno di uomini di Stato forti» come Trump e Putin. L’elogio dell’«uomo forte» era parso eccessivo, quindi nella traduzione diffusa dal suo sito il leader M5S parla di «statisti forti».

Al di là delle soluzioni linguistiche, l’idem sentire tra Grillo e Trump non è una novità degli ultimi giorni, tra le suggestioni geopolitiche di un paese che si vorrebbe più libero di muoversi in un mondo diviso tra Putin e Trump e le analogie sull’outsider che vince le elezioni a dispetto delle previsioni dei grandi media. Qualche giorno fa Alessandro Di Battista aveva affermato autarchicamente: «Trump lo giudicheranno gli americani, non è affar mio, quel che mi importa sono quelle scelte che potrebbero ricadere positivamente sugli interessi italiani». È più o meno la stessa versione che offre Manlio Di Stefano, che come lui siede in commissione esteri alla Camera e che di ritorno dal congresso dei putiniani di Russia Unita disse: «Noi non siamo né filo-russi né filo-americani, siamo filo-italiani». Un altro deputato, Danilo Toninelli, che si occupa per il M5S di legge elettorale, nel giorno dello sbarco a Washington di Trump si è fatto prendere dall’entusiasmo: «Il potere viene trasferito da Washington a voi, alla gente – ha scritto in un tweet citando il discorso d’insediamento – Il sogno del M5S. Lo speriamo! Se sarà vero, oggi gli Usa, domani l’Italia».

Il concretizzarsi degli auspici di Toninelli passa però proprio dalla legge elettorale. Dalla sconfitta di Renzi al referendum i grillini chiedono che si voti con la legge che verrà fuori dal responso della Consulta sull’Italicum, posizione ribadita ieri dal blog. «Noi vogliamo votare subito – scrive Grillo – Per farlo è sufficiente adattare il Legalicum anche al Senato per avere una legge omogenea per le due Camere. Non è la legge perfetta, ma questa maggioranza, eletta col Porcellum, non deve azzardarsi a rimettere mano alla legge più importante dopo la Costituzione».

Se al voto si andrà con una legge proporzionale, i grillini puntano alla maggioranza relativa per ottenere l’incarico e chiedere i voti necessari in Parlamento. Chi accetterà di sostenerli? I retroscena parlano di un accordo con la Lega e con le destre anti-euro, da concretizzarsi appunto solo dopo le elezioni se il M5S dovesse prendere più voti del Pd e la Lega vincere il derby con Fi. È uno scenario descritto chiaramente nelle settimane scorse solo da Massimo Bugani, il consigliere bolognese che si occupa della piattaforma Rousseau con Davide Casaleggio e David Borrelli, europarlamentare eletto in quel Veneto dove il M5S ha imparato a convivere con la Lega (e qualche volta a votare con la maggioranza di Zaia). Proprio Borrelli nei giorni scorsi è stato riabilitato da Grillo dopo la pessima gestione della trattativa in Europa coi liberali dell’Alde. È un po’ poco per parlare di «alleanza» (e sia Grillo che Di Maio, reduce da un incontro romano con gli amministratori locali, ieri hanno seccamente smentito), ma è da qui che passa la stretta via che conduce al governo nazionale. Ecco perché la senatrice Paola Nugnes ieri ha scritto (e poi cancellato) su Fb: «Mi sono svegliata nazionalista e leghista. Ma quando ne abbiamo discusso?».