«Ha vinto la Germania. Fra un anno e mezzo non sarà più un problema la rottura dell’Euro. Utilizzando una iperbole, potrebbe perfino succedere che sia la stessa Germania, avendo drenato tutte le risorse degli stati di confine, a lasciare la moneta unica». Il professor Marcello Minenna, docente di Finanza matematica alla Bocconi, usata parecchie perifrasi, ma ha il pregio di farsi capire benissimo. Tanto da essere riuscito nell’impresa di introdurre perfino Maurizio Landini ai segreti dei mercati.

Professore, i mille miliardi di Quantitative easing sono una cifra superiore alle attese. Però in caso di perdite, il costo sarà coperto all’80 per cento dalle banche centrali degli Stati membri. Un compromesso accettabile per venire incontro alle richieste tedesche?
Un compromesso al ribasso. Perché se è vero che i mille miliardi immessi sul mercato produrranno sicuramente una spinta inflattiva positiva – evidenti vantaggi per il Pil e il rapporto debito/Pil – a livello di architettura dell’euro il segnale è di disgregazione: con la clausola dell’80 per cento a carico delle banche centrali nazionali, l’Europa dimostra di non voler condividere i rischi degli stati membri. La Bce dà un segnale di sfiducia figlio di un negoziato portato avanti da Draghi sotto le pressioni tedesche.

La quantità però è impressionante. Quali effetti produrrà?
Intendiamoci. Dopo tre anni in cui si prendevano decisioni per tirare a campare, per la prima volta il Quantitative easing ha il pregio, oltre che della dimensione, della programmaticità. Ma l’immissione di liquidità era comunque inevitabile perché la Bce per Statuto deve puntare al 2 per cento di inflazione e il vero problema è che l’operazione non riavvierà compiutamente il ciclo economico: non è detto che avrà effetti sugli investimenti e tanto meno che le banche assicureranno credito all’economia reale.

Lei vede una vittoria della Germania. Qualcuno dice che ci guadagnerà anche in conto parte sugli interessi pagati dalla Bce rispetto alle quote di partecipazione al suo capitale.
Sì, questo potrebbe essere un altro elemento di vantaggio dato che la quota parte della Bundesbank è la più grande, il 25 per cento. E finora gli interessi sui titoli di Stato detenuti dalla Bce sono stati ripartiti proporzionalmente tra le banche centrali. Se questo fosse vero i tedeschi avrebbero portato a casa un doppio risultato. In più la percentuale del 20 per cento di condivisione del rischio è stata decisa all’ultimo proprio per favorire i tedeschi: è praticamente la quantificazione del prezzo che la Germania pagherebbe se noi uscissimo dall’euro: una sorta di premio per l’assicurazione che di fatto la nostra banca centrale è chiamata a prestare sull’80 per cento dei titoli a rischio non condiviso.

E allora perché la Bundesbank spara a zero sul provvedimento? È un gioco delle parti?
In buona sostanza credo di sì. In un sistema di cambi fissi – come purtroppo è oggi l’euro – ci sono dinamiche finanziarie che drenano ricchezza dai paesi cosiddetti “deboli” verso quelli “forti”, unico destinatario la Germania. Ogni Stato dovrà farsi carico dei suoi rischi. Non ci sono regali in questa partita. L’Italia sta assicurando l’Eurozona su quel 50% di possibili perdite dell’80 per cento degli acquisti dei suoi titoli di stato. Non dimentichiamo che Bankitalia ha 60-70 miliardi di riserve auree: esattamente la metà dei 120 miliardi di quantitative easing che ci spettano: una strana coincidenza.

Ma l’uscita dall’euro è una prospettiva reale?
Non è questo il problema. Il problema è che con questa ripartizione del rischio si va verso la completa nazionalizzazione dei debiti pubblici e l’uscita di qualsiasi Stato non creerebbe più problemi: nel 2008, ad inizio crisi, il 70 per cento del nostro debito pubblico era sparpagliato nel resto d’Europa e se avessimo chiesto di uscire avremmo provocato danni a tutti, Germania in testa. Proseguendo così la quota diverrà risibile: nessuno fermerebbe la rottura dell’euro.

Lei invece cosa propone per rilanciare la crescita e l’Euro?
Propongo una manovra a tenaglia: da una parte un congelamento dei debiti pubblici per 40 anni in Bce senza pagare interessi e dall’altra la Bce dovrebbe sollevare le banche dai troppi crediti che hanno nei loro bilanci acquistandoli tramite il loro impacchettamento in titoli: questo creerà un circolo virtuoso con una sostituzione di crediti che arriveranno finalmente all’economia reale. L’inflazione prodotta consentirà di ridurre in valore nominale del debito pubblico riportandolo in un decennio a valori accettabili. In un futuro poi credo sia necessario che l’Europa cancelli e condoni una parte dei debiti nazionali.

E qui veniamo a Tsipras. Se vincerà domenica, avrà la forza di ridiscutere il pagamento del debito greco?
Dietro la decisione definita ieri, ma definita già da qualche settimana, io vedo delle reazioni alle dichiarazioni minacciose di Tsipras che comunque hanno contribuito a far prendere consapevolezza dell’esigenza di allentare il Fiscal compact come deciso dieci giorni fa: diversamente da prima per renderlo possibile basta che ci sia uno Stato solo in recessione. Si tratta però di una vittoria di Pirro perché ribadisce l’incapacità dell’Europa di avere un’unica posizione, un’unica strategia finanziaria, un’unica economia.