Non era un «derby fra dracma ed euro», non era questa «la scelta», come il presidente del consiglio aveva twittato lo scorso 29 giugno schierandosi, in linea con tutta la socialdemocrazia europea, a fianco della conservatrice Angela Merkel. E contro Alexis Tsipras.

Nel tardo pomeriggio di ieri, mentre l’affermazione del no nelle urne greche si faceva di minuto in minuto più netta e le agenzie rilanciavano la cena fra Hollande e Merkel – si terrà stasera a Parigi – il presidente del Consiglio italiano telefona a Padoan e lo convocaa per stamattina alle 9 e mezza. Il nuovo programma di aiuti alla Grecia, è il ragionamento che fa il ministro al presidente, non dovrà limitarsi alla dimensione finanziaria ma affrontare gli investimenti e le riforme delle istituzioni economiche necessarie per rimettere l’economia greca sulla strada di una crescita sostenibile. Per il momento all’orizzonte non c’è un’iniziativa del governo italiano. Ma Renzi, incassata la sconfitta e la figuraccia, ora ha fretta di ricollocare il suo governo fra quelli che si adoperano per riaprire la trattativa fra Grecia e Eurogruppo. Perché «ora bisogna salvare la Grecia», come ha ripetuto anche durante le ore dello scrutinio ai suoi collaboratori, «ora la priorità è ricostruire l’Europa». Del resto il presidente italiano negli ultimi due giorni aveva cominciato a capire di essersi troppo spericolato al fianco dei falchi europei anti-Tsipras. E infatti ieri sul Messaggero aveva corretto la rotta e attenuatole parole iniziali. Rottamato il derby, aveva ripiegato sulla ragionevole convinzione che con qualsiasi risultato «si dovrà tornare a parlare», perché la Grecia «non può finire così» anche se «impossibile salvare la Grecia senza l’impegno del governo greco».

Da Atene, la pattuglia della sinistra antirenzista volata a sostenere Tsipras scommettendo nella sua vittoria, esulta per i greci ma anche per il palo preso da Renzi. «In Grecia è stata sconfitta la paura», attacca Stefano Fassina in collegamento nelle maratone tv italiane. «Ora Renzi smetta di appiattirsi sul governo tedesco e cominci con autonomia politica a fare l’interesse dell’Italia. Si impegni per riaprire il negoziato con la Grecia». «Non c’era nessun derby tra dracma e euro. È uno dei soliti falsi che confeziona il presidente del Consiglio. Né Syriza, né Tsipras propongono l’uscita dall’euro», spiega Nichi Vendola. La mattina tutti insieme incontrano il segretario di Syriza. Nel pomeriggio, nel salone della sede del partito dove gli italiani seguono lo spoglio, si materializza una formazione che assomiglia a una riunione di un ipotetico gruppo di punta del futuro partito della sinistra: Fassina, Vendola, il pattuglione di Sel (Fratoianni, Scotto, Piras, De Petris, Cervellini), quella dell’Altra Europa (Bolini, Morea, Torelli. Guerra), ex grillini (Campanella), Prc (Ferrero, Rinaldi, che chiedono subito «una Syriza italiana») insieme a Luciana Castellina, madrina delle lotte della sinistra greca, oltreché italiana, dai tempi dei colonnelli. Manca Civati. In compenso c’è Alfredo D’Attorre, unico della sinistra Pd: «È una giornata bellissima per la Grecia e per l’Europa. A questo punto, almeno, dopo tanti errori compiuti nella prima fase, i governi europei a guida socialista, mi riferisco a Italia e Francia, prendano l’iniziativa per riaprire un tavolo negoziale con la Grecia». «Non ha perso solo la Troika ma anche la signora Merkel e Renzi», continua Vendola.

Ad Atene è arrivato anche Grillo che a sera, dopo un lungo giro nelle periferie di Atene parla di «risultato fantastico». E non incontra i dirigenti di Syriza: a incontrare i rappresentanti del governo manda Alessandro Di Battista. Lui, con qualche militante a 5 stelle, resta a piazza Syntagma. Anche perché da Atene rivendica la proposta di «un referendum se restare nell’euro» per il popolo italiano – referendum che peraltro da noi non si può svolger -, perfettamente speculare al famoso tweet di Renzi, quello del derby euro-dracma. E invece la linea di Syriza è un’altra: restare nell’euro cambiandone le regole.

In Italia del resto anche tutta la destra euroscettica è in festa. Chi per ragioni antieuro, chi per ragioni anti-Renzi. In testa Matteo Salvini, che pure sul referendum ha tenuto posizioni ondeggianti: «Il no è uno schiaffone agli europirla che ci hanno portato alla fame. Se Renzi non ne prende atto è un folle». Il forzista Renato Brunetta twitta in greco «Matteo stai sereno»