Molta gente pensa che io sia morto anni fa», raccontava Herschell G. Lewis a Boyd Rice in un’intervista telefonica per il numero 10 di «RE/Search (Incredibly Strange Films)». Era il 1986. Si trattava di ridisegnare le mappe di un cinema rimosso. Una scelta di campo politica e controculturale. Nomi come Ted V. Mikels, Joe Sarno ma anche Larry Cohen e Russ Meyer erano ormai sconosciuti ai più e i loro film dimenticati. Su Herschell Gordon Lewis, padrino del gore che nel 1963 firma Blood Feast inaugurando così una nuova stagione del cinema horror, circolavano all’epoca le leggende più fantasiose e assurde che lo davano sia in carcere sia mendicante senzatetto. Il regista si era in realtà ritirato a Fort Lauderdale, in Florida, agli inizi degli anni Settanta per riemergere tempo dopo, nel 1977, come fondatore della Communi-Comp, agenzia di marketing per corrispondenza che rivoluzionerà il settore della comunicazione pubblicitaria. In questo senso basta dare uno sguardo anche rapidissimo ai numerosi libri scritti da Lewis sull’argomento, come On the Art of Writing Copy (saggio che ha avuto numerose ristampe), Copywriting Secrets & Tactics o Effective E-Mail Marketing: The Complete Guide to Creating Successful Campaigns (del 2002). «Non ho mai guadagnato tanto lavorando così poco. Sarei un pazzo se tornassi al cinema», era solito dire.
Lewis, nato a Pittsburgh (la città di George A. Romero) il 15 giugno del 1926 (altre fonti indicano anche il 1929), docente di scienze umanistiche e inglese nel Mississippi («non certo uno dei nostri maggiori centri culturali»), inizia a dedicarsi al cinema realizzando piccoli film pubblicitari. L’incontro con il produttore David F. Friedman (responsabile di titoli come Ilsa la belva delle SS) convince Lewis a cimentarsi con il cosiddetto nudie, che oggi si confonde troppo facilmente con il sexploitation. Friedman (le cui memorie A Youth in Babylon sono una lettura obbligata per chiunque sia interessato all’exploitation) e Lewis cominciano a lavorare insieme nel 1960 per The Prime Time, film che oggi si ricorda soprattutto come la prima apparizione di Karen Black. Dopo quasi una mezza dozzina di film, realizzati sovente utilizzando lo pseudonimo Lewis H. Gordon, e rendendosi conto che il mercato dei nudie non offriva molte alternative, decide con Friedman di individuare un genere che gli studio non avrebbero mai osato toccare. «Fu una decisione presa a sangue freddo», spiegava Lewis. «Abbiamo analizzato intere liste di soggetti e argomenti che le major non avrebbero mai potuto o voluto toccare e abbiamo scelto il gore».

 

 

Blood Feast, realizzato e distribuito nel 1963, costato circa 24.000, girato in pellicola 35mm a colori, diventa un successo imprevisto. «Alle proiezioni del film distribuivamo dei sacchetti per il vomito sui quali avevamo stampato: ‘Potrebbero esservi utile durante la visione di Blood Feast’. La gente veniva anche solo per portarseli via!». Adorato da John Waters che compare nel ruolo di un prete in Blood Feast 2 – All You Can Eat, Lewis si trasforma in un simbolo del buon cattivo gusto anti establishment ben prima che il camp e il kitsch diventassero categorie estetiche. «Quello che ho tentato di fare è ottenere delle scene di gore intensivo, piuttosto che estese. Non potevo permettermi scene come mostri che spuntano dal torace di un uomo. Mi sarebbero costate quanto un intero film. Quindi ho deciso che, al contrario, potevo mettere le mani nel corpo di qualcuno e tirare fuori della roba. Anche oggi nessuno ha il coraggio, o il cattivo gusto, di indugiare su certe scene come abbiamo fatto noi, accarezzando in primo piano organi sanguinanti».

 

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Fra il 1963 e il 1972, anno di The Gore Gore Girls, Lewis realizza una trentina di film che diventano quasi tutti dei film di culto dell’exploitation più inventiva. Nel 1969 firma il western nudie Linda and Abilene filmando nello Spahn Ranch, la fattoria dove solo qualche settimana dopo si ritira a vivere Charles Manson e la sua family.

 

 

Fra i classici gore di Lewis, ristampati in una magnifica ma costosissima edizione blu ray e dvd dalla britannica Arrow Video, non si possono non citare il «teorico» The Wizard of Gore, il feroce The Gruesome Twosome e il biker-movie tutto al femminile She-Devils on Wheels.
Nel 2002 ritorna dietro la macchina da presa per il sequel di Blood Feast. L’erede di Fuad Ramses, il killer adoratore della dea Ishtar, finisce nelle grinfie sanguinarie della divinità e ricomincia a massacrare giovani avvenenti fanciulle nel tentativo di riportarla in vita. Crudele e ridanciano, contrappuntato dalle magnifiche canzoni dei Southern Culture on Skids, il film, pur dignitoso, e nient’affatto banale, assomiglia più a una rimpatriata fra amici che ai classici ruspanti dei Sixties.
«Ha realizzato alcuni dei peggiori film di cattivo gusto di sempre», ha detto di lui Tim Lucas, il responsabile di Video Watchdog. Ed è, ovviamente, un complimento. Con Lewis scompare una certa idea di cinema americano. Il gran sacerdote del gore è stato uno dei massimi esponenti di quel cinema dove l’exploitation lambiva i margini della pop art e della cultura antagonista, prima che il cinema horror fosse isolato dai cultori in un innocuo limbo citazionista. Quello di Herschell G. Lewis è stato e sarà sempre un cinema insurrezionale, spudorato nell’esibire la sua «ricchissima» povertà produttiva alla stregua di un’arma contro tutti i conformismi estetici e politici.