Dal cuore dolorante e furioso della rust belt, alla città dell’amore fraterno, dove nel 1774 si radunò il primo Congresso Usa. Nei giorni che hanno preceduto la calata dei democratici sull’ariosa capitale della Pennsylvania, con i suoi viali alberati e le architetture coloniali che fanno capolino tra gli edifici moderni, il simbolismo del luogo in cui è stata firmata la dichiarazione d’indipendenza americana ed è stata scritta la costituzione del paese è stato associato spesso a questa convention, in contrapposizione allo scenario apocalittico di Cleveland.

A fronte del terrorizzante rollercoaster trumpista, lanciato in folle corsa tre le macerie fumanti dell’America di Norman Rockewell, i democratici, promettevano, sarebbero stati uniti, nella culla della rivoluzione e della democrazia. Unità, inclusività, e generosità erano anche il refrain di Hillary Clinton nel sua ultimo comizio pre convention, a Miami, dove sabato – apparendo visibilmente soddisfatta, quasi sollevata dall’averlo al fianco- ha presentato il suo vp, Tim Kaine.

Ma, nelle ultime quaratantott’ore, questa elaborata architettura di unità e armonia, sottolineata dal fatto che, insieme Michelle Obama, Bernie Sanders sarebbe stato lo «speaker» d’onore del primo giorno di Convention -indicando così, ai suoi seguaci, la via di Hillary e il suo appoggio ha sollevato qualche fischio tra i suoi delegati- è stata messa a dura prova. Prima di tutto, la nomina di Kaine (sindaco, governatore e poi senatore della Virginia, cattolico, abile avvocato per i diritti civili, detestato dalla National Rifle Association ma molto apprezzato da Planned Parenthood, dall’establishment democratico e da Obama, che lo aveva già preso in considerazione come suo possibile numero due) non è stata graditissima ai sandersiani, critici delle sue posizioni favorevoli ai trattati commerciali e dei suoi legami con Wall Street, e che gli che avrebbe preferito Elizabeth Warren o il senatore dell’Ohio Sherrod Brown, due stelle progressiste del partito.

Ma, molto più dell’affabile Kaine (che, se eletto, magari si proverà un vp di valore come Joe Biden), a funestare l’incoronazione ufficiale di Hillary sono arrivate le dimissioni improvvise del leader del partito democratico, la deputata della Florida Debbie Wasserman-Schultz, più volte accusata da Sanders di ostacolare la sua corsa alla nomination, per favorire quella dell’avversaria. La prova che, effettivamente, Wasserman-Schultz fosse, a parole e attivamente, «di parte» è arrivata insieme a 20.000 e mail postate da WikiLeaks venerdì, e in cui si trovano numerosi riferimenti negativi nei confronti della campagna Sanders e del candidato stesso, anche se, dalla stesse mail, è impossibile dedurre se le parole e le azioni della deputata si siano veramente tradotte in un vantaggio per Hillary.

In uno scenario che, da Cleveland, introduce un elemento di fantascienza (o almeno da The Amerikans) anche qui a Philadelphia, la pista del rilascio di queste corrispondenze interne al partito democratico porterebbe in Russia e, secondo la forensica, ai servizi segreti di Putin (già responsabili, l’anno scorso, di aver hackerato la Casa bianca e il Dipartiamento di Stato), ansiosi – secondo la campagna Clinton- di rompere le uova nel paniere alla candidata democratica per favorire Trump. Via Twitter, e attraverso i suoi portavoce, «The Donald» ha deriso l’ipotesi.

Se il primo giorno di convention repubblicana è stato virtualmente scippato dal mitico plagio di Melania e quelli successivi dallo sgarro di Ted Cruz, ieri mattina, nei corridoi del Phildadelphia Convention Center, dove delegati e giornalisti si mettevano in fila per ritirare i loro pass, serpeggiava la paura che la frettolosa dipartita di Wasserman-Schultz (fischiata a colazione dai delegati del suo stesso stato) e l’inchiesta Fbi già aperta sull’hackeraggio, potesse fare lo stesso con l’apertura della Dnc, sul cui equilibrio tanto avrebbe pesato il discorso di Bernie Sanders, previsto in serata e quindi tarda notte per l’Italia, nel quale Sanders ha invitato a votare Hillary per battere Trump, suscitando il malumore dei suoi supporters, molti dei quali –tantissimi e pacifici- avevano sfilato per le strade della città, come se le primarie fossero ancora in corso.

Le parole del senatore socialista, il suo tono, e la sua capacità di dimostrare che il suo sostegno per Hillary Clinton va al di là della stretta necessità di fermare Trump sono diventati ancora più importanti. Intervistato dai talk show domenicali, Sanders ha detto di non essere stato sorpreso dai contenuti delle mail, e che Wasserman-Shultz avrebbe dovuto dimettersi. Non si può – in ogni caso – non dar risalto a un fatto: Sanders in queste elezioni veramente stranissime ha già «vinto». Basta scorrere le 26 pagine della piattaforma con cui il partito democratico arriva a questa convention (https://www.demconvention.com/platform/ ) per riconoscere il suo contributo enorme, e il peso che l’ala progressista del partito ha avuto nella preparazione di questo documento che dedica un capitolo intero alla «Lotta contro l’ingiustizia economica e la diseguaglianza», in cui si parla di «ridimensionare» Wall Street, fare sì che i ricchi paghino la giusta percentuale di tasse e di arginare i monopoli. Una cosa che non sarebbe mai stata messa nero su bianco, prima della candidatura Sanders, e nemmeno sussurrata a bassa voce, prima di lui, di Occupy.

Università pubbliche gratuite per chi ne ha bisogno, una «public option» da aggiungere ai consorzi assicurativi prevista da Obamacare, come anche la promessa di riformare le leggi sui finanziamenti alle campagne elettorali sono altri punti importanti che il senatore e i suoi alleati sono riusciti a strappare all’ala più centrista del partito. E che Hillary Clinton ormai elenca come parte degli obbiettivi della sua presidenza.
Si sa, le piattaforme sono delle dichiarazioni d’intenti e, come tali, hanno una qualità aspirational. Però, in nome di aspirazioni – e non solo per fermare la grottesca crociata ego-fascistoide di Donald Trump- vale la pena di lottare, continuare a marciare in strada e poi andare a votare a novembre. E dare una chance a Hillary Clinton.