Erano mesi che Hillary non faceva un comizio a New York, ma il 19 Aprile si voterà in questo stato, e per lanciare la sua campagna elettorale local Clinton ha scelto l’Apollo theatre, nel cuore di Harlem, un simbolo degli afroamericani, nel quartiere più afroamericano di qualunque altro. La fila per entrare a sentirla, alle 9.30 del mattino, è lunga tre isolati e quando finalmente arriva è accolta da un boato.

Clinton è stata senatore dello stato di New York e la sua residenza era proprio ad Harlem, nel 2000, quando il quartiere era ancora guardato con un certo sospetto dal resto di Manhattan, e quindi un po’ di casa. «Non ha l’accento di Brooklyn ma è una di noi» dice, presentandola il senatore Schumer lanciando così una stoccata all’ebreo di Brooklyn Sanders. Lei sorride, il pubblico applaude, ma il comizio di Hillary non è volto verso l’esterno, lei parla di sé e dei suoi cavalli di battaglia, le incursioni in campo esterno ci sono, ma poche. Risultati, sicurezza e unità, queste le parole d’ordine del comizio. Scelta di termini pragmatici e un continuo sottolineare quanto New York, di cui spesso si dice «non essere l’America», ma una cosa a parte, in realtà sia «la parte migliore dell’America», quella del melting pot, della convivenza di razze, credi e inclinazioni diverse.

Gli attacchi ai competitors non mancano; ai repubblicani e a Trump, che quasi distingue, visto che ormai è sotto gli occhi di tutti che il vecchio Gop e questi candidati in corsa sono ormai due cose diverse. Ma non mancano staffilate a Sanders. «Nessuno sogna più in grande di noi newyorchesi – dice Hillary – ma New York è anche il luogo dove si porta a casa il risultato». L’allusione all’idealismo – a suo parere inconcludente – di Sanders è raccolta dal pubblico che non la smette più di applaudire.

«Noi abbiamo bisogno di lei e lei ha bisogno del nostro sostegno» dice Lisa, afroamericana settantacinquenne, parafrasando lo slogan di Hillary, Fighting for us, Combattendo per noi. Con «noi» in questo caso si intende la comunità nera. «Sanders mi piace – aggiunge – ma Hillary la vedo più piantata per terra. La politica non è un lavoro facile, lei è una donna, sa che problemi ci sono se non sei un maschio o un bianco». «Nel 2008 avevo votato Obama – dice Sam, cinquantenne afroamericano – ora voto lei. Con Obama ho sentito che i miei diritti erano protetti e penso che lei sappia meglio come continuare su questa strada». Dal palco Hillary ricorda che in questo momento restare uniti è più importante che mai, come essere solidali: «I repubblicani dicono che da donna voglio giocare la carta del genere, ma è vero che esiste una problematica di genere e non l’ho creata io. E ne esistono altre: disuguaglianze economiche, razziali, per cui voglio lottare come per i disabili, per la comunità LGBTQ. In questa città e in questo stato siamo fortunati – aggiunge – perché il governatore Cuomo come il sindaco De Blasio stanno lottando tanto su questi temi, e stanno ottenendo dei risultati. Così come il nostro presidente».

I temi delle minoranze, della difficoltà a ottenere dei diritti se si fa parte di un gruppo che a priori parte svantaggiato, sono quelli che più di tutti l’avvicinano alla comunità di Harlem. «È importante che i bianchi utilizzino i loro privilegi per aiutare gli afroamericani – spiega Tyra, commercialista quarantenne – Questo è esattamente il programma di Hillary, non la rivoluzione».

E non c’è nulla di rivoluzionario nelle parole di Hillary, ma molto di rassicurante: restiamo uniti, lottiamo insieme e tutto andrà bene, sosteniamoci a vicenda, occupiamoci gli uni degli altri. Il momento in cui attacca più frontalmente Sanders è quando parla di controllo delle armi, ma lo fa, ancora una volta non per parlare di lui ma di sé, di come lei abbia sempre lottato per una regolamentazione delle armi, anche prima che fosse di moda, mentre Sanders fino a poco fa sosteneva il secondo emendamento e questo è un punto di grande forza nella sua campagna.
«Se riesce a tener testa alla lobby delle armi vuoi che non sappia affrontare il congresso?» dDice Janet, parte del gruppo delle madri per il controllo delle armi. «Tra venti giorni a New York si vota – dice Hillary dal palco – combattete per me in modo che io possa combattere per voi».