Fidel Castro e la sua armata rivoluzionaria stanno avvicinandosi all’Avana quando Sean Connery atterra sull’isola caraibica. Il film è Cuba, di Richard Lester, distribuito dalla United Artists nel 1979, e Connery interpreta un ex militare inglese, reinventatosi mercenario, qui assoldato per insegnare alle truppe di Batista come sconfiggere i ribelli. Che l’affascinante, soldato di ventura sia arrivato troppo tardi per fermare il corso della Storia è subito evidente in questo mix di satira politica e melodramma alla Casablanca, in cui il maggiore Dapes (Connery) ritrova una vecchia fiamma (Brooke Adams) che si è (infelicemente) sposata con il rampollo di un’importante famiglia cubana e manda avanti una fabbrica di sigari.

Tra avventurieri che piacerebbero a Graham Greene, una trama amorosa che finisce male e un decadente party di Natale con una sparatoria, è evidente anche che le simpatie del regista angloamericano dei Beatles (Lester aveva già firmato Help! e A Hard Day’s Night), e del suo sceneggiatore Charles Wood, vanno ai rivoluzionari (Castro appare in uno spezzone di tg) e non ai vari esponenti del regime o dell’élite dell’isola, ritratti come profittatori, codardi ed aguzzini da commedia, che alla fine del film vediamo fare a gara per chi sale prima sull’aereo per andarsene. Il passaggio epocale che fa da sfondo a questo misconosciuto film di Lester (che però ha estimatori illustri, come Steven Soderbergh) torna spesso nel cinema americano. Lo stesso Soderbergh ha dedicato alle fasi finali alla marcia verso la conquista dell’Avana, una vasta porzione del suo affascinante dittico, Che (che è anche il titolo di un vituperato film di Richard Fleischer, con Omar Sharif nella parte di Guevara e Jack Palance-barbutissimo- in quella di Fidel Castro), con Demien Bichir nel ruolo del Comandante. Cinque anni prima di Lester, Francis Coppola aveva ambientato scene importanti del suo Il Padrino-parte II nei giorni della rivoluzione. Michael Corleone, su un tetto assolato che sovrasta l’Avana, spiega allo scettico boss di Miami Hyman Roth (modellato su Meyer Lansky e interpretato da Lee Strasberg) che i rivoluzionari vinceranno – dopo aver visto uno di loro farsi saltare in aria piuttosto che cadere nelle mani dei militari. Ed è a un gran ballo nella notte di capodanno del 1958, mentre gli uomini di Castro irrompono nella capitale, che Michael rivela a suo fratello Fredo di sapere che è stato lui a cercare di farlo uccidere. Mentre glielo dice, gli dà un bacio- «mi hai spezzato il cuore Fredo»; la sua disillusione drammatizzata in sync con il rovinoso crollo di Batista.

Realizzato da una nota coppia di liberal hollywoodiani, si svolge nella confusione degli stessi giorni anche Havana (1980), diretto da Sydney Pollack, con Robert Redford nella parte di un avventuriero con la passione per le donne e per il gioco, che però rimane suo malgrado risucchiato dalla rivoluzione per amore di Lena Olin. Anche qui, come in Cuba, dietro agli echi di Casablanca, e alle texture del melodramma, il cuore del film batte per rivoluzionari, ancor più esplicito che nel film di Lester. Più inattesa, e più vicina al milieu culturale della Guerra fredda, la trasferta cubana di Alfred Hitchcock: il film è Topaz (1969), tratto da un romanzo di Leon Uris, a sua volta ispirato da fatti realmente accaduti (il cosiddetto affare Zaffiro) nel 1962, quando la Cia scoprì che il rappresentante Nato del governo De Gaulle lavorava da molti anni per il KGB. Ambientato in un giro di capitali tra cui Parigi, Copenaghen, New York e Washington, il thriller spionistico di Hitchcock, prodotto dalla Universal, si sposta a Cuba quando l’agente francese Andre Deveraux vi si reca per raccogliere informazioni sulle postazioni militari sovietiche. Macchina fotografica e obbiettivi nascosti nei panini al prosciutto, il rullino con le foto dei missili nella pancia di un pollo, il microfilm nel rasoio al posto delle lamette da barba, la coppia di servitori torturata dagli uomini di Castro, immagini di Fidel e Che Guevara dai newsreel d’epoca…

Hitchock adotta la grammatica della Cold war in un quello che rimane uno dei suoi film più incompresi, costosi e produttivamente tormentati (il finale originale, che prevedeva un duello, accolto male in preview, venne riscritto). Indimenticabile la morte, ripresa dall’alto, di Juanita, vedova della rivoluzione, innamorata di Deveraux ma che sta anche con colonnello Rico Parra. Il 1962, anno della Crisi dei missili, è anche il teatro di Matiné (1993), di Joe Dante, meravigliosa commedia di cinefilia e guerra fredda (il mix in cui si sono formati tutti i registi della nuova Hollywood) in cui, mentre alla tv John Kennedy annuncia il blocco navale al largo di Cuba, nemmeno 100 chilometri più a nord dell’isola, una moltitudine di eccitatissimi teen ager di Key West celebra l’arrivo dell’impresario horror Lawrence Woolsey alla proiezione del suo ultimo capolavoro di fantascienza doc, Mant!, storia dell’uomo formica derivato da un esperimento nucleare poco riuscito. Spesso utilizzata come sfondo dei film d’avventura (per esempio negli adattamenti da Hemingway, Il vecchio e il mare, del 1958, e Isole nella corrente, del 1977), nel cinema classico hollywoodiano Cuba era spesso un simbolo di sensualità ed esotismo: in Bulli e pupe (1955), di Joseph Mankiewicz, , è in un caffè dell’Avana che Jane Simmons, gelosa di una ballerina locale, si lascia andare rivelando a Marlon Brando la passione che si nasconde dietro alla divisa dell’esercito della salvezza. Tra le grosse produzioni contemporanee, almeno due 007 hanno detour cubani, come anche Bad Boys 2. Miami Vice (prima la serie e poi il film di Michael Mann) respirano aria cubana a pieni polmoni. E la storia Marvel delle origini X Men L’inizio (2011) parte proprio dalla crisi dei missili durante la quale si volge anche il thriller con Kevin Costner Thirteen Days (1990).

Tratti dai libri omonimi dei fuoriuscito cubano Reinaldo Arenas e del cubano/americano Oscar Hijuelos, entrambi del 1992, Prima che sia la notte di Julian Schnabel e I re del Mambo di Arne Glimcher sono segni del cambiamento dei tempi. Ma bisogna spettare il 2003, perché Oliver Stone (che aveva dato a Cuba un notevole spazio nel suo JFK), con Comandante, e l’anno seguente con Looking for Fidel, dia finalmente la parola a Castro.
(una prima versione di questo articolo è stata pubblicata il 27 dicembre 2014)