La Grecia salvata dai Brics? La notizia ha cominciato a circolare a maggio, quando il viceministro delle Finanze russo Sergei Storchak ha proposto ad Atene di aggiungersi come sesto paese a Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. I cinque si sono riuniti l’anno scorso a Brasilia e si ritroveranno il 9 e il 10 luglio nella città di Ufa, in Russia, paese a cui tocca la presidenza di turno dell’organismo. In quella sede, la Cina presenterà i documenti relativi alla necessaria ratifica parlamentare per la creazione della Banca dei Brics, che potrà iniziare le prime operazioni di finanziamento a partire dal gennaio del 2016. Il primo passo verso l’istituzione di una moneta comune.

I parlamenti degli altri quattro paesi hanno già approvato la partecipazione alla Banca di sviluppo: la cui finalità è quella di contrastare l’egemonia occidentale sui mercati finanziari e di concedere crediti ai paesi emergenti in difficoltà senza stringergli intorno al collo il cappio degli “aggiustamenti strutturali” modello Fmi. I cinque sommano una popolazione di 3 miliardi di persone -il 40% del totale –, rappresentano il 26% della superficie del globo, e si configurano come una gigantesca riserva alimentare.

Se le cose precipitano ulteriormente per Atene, i Brics potrebbero costituire una sponda seria? Secondo molti analisti, le trattative sono in corso e la questione verrà discussa a Ufa. Tsipras ha dichiarato che qualunque sia il risultato del referendum, firmerà un accordo con l’Unione europea quarantott’ore dopo. Tuttavia, sono molte le voci autorevoli che considerano l’uscita dall’euro «un’idea che sta guadagnando popolarità presso i lavoratori, i poveri e le classi medio-basse», come sostiene su Le Monde diplomatique di luglio l’economista Costas Lapavitsas, deputato di Syriza, membro della Piattaforma di sinistra e sostenitore di un’uscita del suo paese dall’Unione economica e monetaria (Uem). Afferma: «Nessuno vuole negare che un default e un’uscita dall’euro avrebbero un costo sociale elevato, soprattutto nei primi tempi. Ma si tratterebbe di una prova temporanea; e questo non giustifica che l’intero paese debba invece accettare l’austerità richiesta all’interno della Uem… L’entrata nell’Uem si è rivelata un grave errore. Ma il paese può ancora seguire un’altra strada. E così facendo aiuterebbe l’Europa a sbarazzarsi di un sistema monetario tossico, che sopravvive solo grazie al sostegno dei settori politici de economici dominanti».

Invece, il sistema dei Brics – affermano i paesi socialisti dell’America latina, invitati al vertice dell’anno scorso – parte con un piede diverso, fortemente influenzato dal segno solidale di altri organismi regionali che compongono il Banco del Sur. E così l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America – Trattato del commercio dei popoli (Alba-Tcp) ha subito manifestato sostegno al popolo e al governo greco con un comunicato: «perché la battaglia storica che stanno conducendo contro le forze distruttrici del capitale neoliberista transnazionale – scrive l’Alba – è una lotta per la salvezza di tutta la specie umana, per la vita, la libertà e l’autodeterminazione dei popoli». Anche il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, ha invitato Tsipras – che alcuni grandi media nordamericani hanno definito «il Chavez dei Balcani» – a «non aver paura» e a «tener duro nella difficile battaglia per liberarsi dal giogo di chi pretende succhiare il sangue dei popoli e la ricchezza dei paesi: una battaglia che serve da esempio all’Europa affinché si svegli dal letargo».

Si è fatto sentire anche l’economista Rafael Correa, presidente dell’Ecuador, paese che ha imposto al Fondo monetario internazionale la propria sovranità, decidendo di non pagare il debito e volgendosi ai rapporti sud-sud. «Il primo consiglio che mi sento di dare – ha detto Correa durante una riunione con il Consejo Empresarial de America Latina – è di non prestare la minima attenzione all’Fmi né ad altre burocrazie internazionali, le cui ricette ci avevano portato a crisi sempre peggiori: perché a guidare i loro interessi non sono le persone, ma il grande capitale».

Intanto, fanno discutere le dichiarazioni rilasciate al New York Times dal governatore di Porto Rico, Alejandro Garcia Padilla, secondo il quale il debito di 73 mila milioni di dollari dell’isola (3,6 milioni di abitanti), arrivato a scadenza «è impagabile». Ma non può esserci default in base alle leggi federali, essendo l’isola uno stato liberamente associato agli Usa: «Non si può continuare a chiedere prestiti per sanare il deficit – ha detto Padilla – e aumentare ancora le tasse ai cittadini e a tagliare le pensioni».

L’Fmi sta «distruggendo Porto Rico, la cui economia è controllata al 25% dai fondi avvoltoio», ha detto la presidente argentina Cristina Kirchner durante un discorso all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). «Quel che sta vivendo il popolo greco – ha affermato – è esattamente quel che ha vissuto il popolo argentino: oggi il 60% dei giovani greci non ha lavoro, ma la Grecia destina il 2,6% del suo Pil alle spese militare per acquisti alla Francia, Germania e Stati uniti, perché è un paese strategico per la sua posizione nel Mediterraneo».
Invitata al vertice Brics dell’anno scorso, Kirchner ha denunciato il ricatto dei fondi avvoltoio e ha ricevuto il pieno appoggio dell’organismo: «La soluzione del debito argentino – ha detto – non è solo un problema nostro, ma una questione di sovranità che interessa tutti i paesi ricattati dai meccanismi della finanza internazionale». E ora, anche l’esempio della Grecia farà scuola.