Il 30 aprile scorso – alla presenza di Matteo Renzi e del ministro Franceschini – si è proceduto alla riapertura del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, noto anche come Museo nazionale della Magna Grecia. Benché la storica sede di Palazzo Piacentini conservi i celeberrimi Bronzi di Riace, i quali da sempre – e per differenti ragioni – suscitano un gran clamore, l’evento è passato quasi in sordina. Chiuso da dieci anni per lavori di ristrutturazione, il museo aveva parzialmente riaperto i battenti due anni fa, quando – al termine di un intervento di restauro svoltosi pubblicamente a Palazzo Campanella – le colossali statue emerse nel 1972 dai fondali di Riace, ripresero il loro posto. Da allora, si attendeva che i capolavori dell’arte classica divenuti non solo un simbolo del patrimonio italiano ma anche un’icona pop, uscissero dalla solitudine nella quale l’ex ministro Massimo Bray aveva salutato il nuovo allestimento.

Bronzi di Riace nuovo allestimento con supporti anti sismici
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Dopo la vestizione carnevalesca dei Bronzi inscenata a scopo fotografico dall’artista americano Gerald Bruneau con la complicità di qualche funzionario, il tira e molla (risoltosi con un fermo diniego) per il trasferimento delle sculture all’Expo di Milano e un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia per i 180 milioni di pizzo pagati dalla Cobar s.p.a. al clan De Stefano affinché il rinnovamento di Palazzo Piacentini si svolgesse «in tranquillità», si è ora giunti a un giro di boa. In seguito al decreto Musei emanato dal Mibact nel 2014, infatti, il museo di Reggio Calabria è sottoposto a un regime di autonomia speciale.

All’architetto Carmelo Malacrino, uno dei «super-direttori» scelti da Franceschini attraverso un bando internazionale, spetterà il compito di rilanciare la preziosa collezione magno-greca, di cui i guerrieri greci del V secolo a.C. naufragati sulle coste ioniche non sono che il fiore all’occhiello. Intanto, però, il giorno dell’inaugurazione Renzi non si è fatto sfuggire l’opportunità di consegnare al sindaco reggino Giuseppe Falcomatà un assegno da 132 milioni di euro destinato allo sviluppo infrastrutturale dell’area metropolitana proprio davanti a due testimoni d’eccezione. Così come a Pompei e, recentemente, ai Musei capitolini, l’archeologia fa da sfondo agli interessi politici del governo. Per fortuna, almeno in quest’occasione, non è dovuto intervenire il cerimoniale di Stato a coprire antiche pudenda. La nudità è preservata, il valore culturale delle opere prestate alla propaganda renziana un po’ meno.