Educazione, salute, sviluppo produttivo e terra. Su questi punti inizia in Cile la consultazione dei popoli originari, all’insegna della Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo). Adottata nel 1989 , la Convenzione è l’unico strumento legislativo valido a livello internazionale che riconosce ai nativi un insieme di diritti fondamentali, tra i quali quello sulle proprie terre ancestrali e il diritto a decidere autonomamente del proprio futuro. La presidente, Michelle Bachelet, lo ha annunciato durante le celebrazioni del We Tripantu, il nuovo anno mapuche. Le proposte sono frutto di un confronto durato due mesi e condotto dalla ministra per lo Sviluppo sociale, Fernanda Villegas, che ha lavorato insieme alla Segreteria generale della presidenza (Segpres) e in collaborazione con altri organismi interessati.

Nei suoi primi 100 giorni di governo, Bachelet prova così a dar corso a un’altra importante promessa della campagna elettorale. Misure che i mapuche (la principale etnia del paese), attendono con speranza e diffidenza. Da anni lottano per il recupero dei loro territori ancestrali e pagano salato occupazioni di terre e manifestazioni. Contro di loro vengono applicate le leggi antiterrorismo in vigore dai tempi di Pinochet, che consentono di comminare condanne spropositate in base a testimoni anonimi, ignoti alla difesa. Nei mesi scorsi, i detenuti mapuche hanno effettuato uno sciopero della fame di 40 giorni, rendendo nuovamente incandescente il conflitto mai sopito nei territori dell’Araucania.

Nelle terre mapuche devastate e confiscate dalle grandi imprese forestali, si sono recati i rappresentanti della coalizione di governo Nueva Mayoria per intavolare la discussione con le comunità. La procedura prevede di convocare i gruppi rappresentativi delle comunità, raccogliere le loro proposte e attendere le decisioni della popolazione mapuche. Molte comunità hanno già dato il loro assenso a un decreto del precedente governo di Sebastian Piñera: un primo gradino insufficiente e criticabile, assicura il governo, e promette un dialogo «ampio e flessibile» per trasformare in legge le proposte condivise.

Seppur con orientamenti diversi, le comunità dell’Araucania chiedono che cessi la repressione dei carabinieri nei loro territori. Per questo, a maggio sono tornate sul piede di guerra e hanno annunciato che «la luna di miele» con il governo sarebbe finita. Ma il dialogo è rimasto aperto e i rappresentanti delle comunità hanno consegnato a Bachelet le loro proposte: per andare alle radici del conflitto della lotta per la terra e per risolvere i problemi di natura idrica e ambientale di cui soffrono le popolazioni native.

Una delegazione mapuche si è di recente riunita anche con il presidente dello stato plurinazionale di Bolivia, Evo Morales (un indigeno aymara). Gli hanno chiesto di portare il messaggio dei nativi alla Conferenza mondiale sui popoli indigeni che si realizzerà il prossimo 22 e 23 settembre a New York, sede delle Nazioni unite. Un primo passo per aprire un dialogo con l’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur), ha detto il rappresentante dei mapuche cileni, Aucan Hilcaman. I nativi hanno anche espresso l’augurio che il contenzioso giuridico per lo sbocco al mare, chiesto dalla Bolivia al Cile, possa risolversi in modo amichevole.

A questo proposito, durante il suo precedente mandato, Bachelet aveva avviato un’agenda di consultazioni con La Paz e ora Morales le ha ricordato l’impegno. A fine settimana, la presidente si recherà però negli Stati uniti per discutere con Obama i termini dell’Accordo Trans-Pacifico di associazione economica (Tpp), di cui il Cile è uno degli architravi. Intanto, una ventina di deputati e senatori (di Nueva Mayoria e indipendenti) ha creato un fronte trasversale per promuovere un’Assemblea costituente, grande tema della campagna elettorale di Bachelet: «In 100 giorni, ho tenuto fede al 91% dei 56 impegni assunti», ha dichiarato la presidente. Da oggi a sabato, movimenti studenteschi, lavoratori e professori restano però in agitazione.