Due blitz dei coloni israeliani a 10 anni dal “Piano di disimpegno” dell’ex premier Ariel Sharon. Due blitz, scattati nella notte tra lunedì e martedì, per chiedere al premier Netanyahu di mantenere la promessa fatta prima del voto dello scorso marzo di una nuova e più massiccia colonizzazione della Cisgiordania. Ma i settler vogliono di più, chiedono che il ministro della difesa Moshe Yaalon non rispetti anche le (rare) sentenze dei tribunali e dell’Alta Corte che chiedono la restituzione di terre palestinesi occupate in modo illegittimo persino per la legge israeliana.

 

Issando lo striscione con la scritta “Stiamo combattendo per la terra di Israele”, centinaia di coloni hanno occupato due edifici nell’insediamento di Bet El, accanto a Ramallah, costruiti su terre palestinesi e che, dopo una lunga battaglia legale, i giudici hanno ordinato di restituire ai legittimi proprietari. I coloni respingono le demolizioni. Decine di loro sono stati sgomberati dalle forze di sicurezza e le aree in questione proclamate fino al 1 agosto “zone militari chiuse”. Ma non si sono arresi perchè dalla loro parte hanno i ministri di Casa ebraica, il partito che più li rappresenta. Sotto accusa è finito Moshe Yaalon che pure è un esponente della destra radicale, reo di aver mandato i soldati a cacciar via chi occupava gli edifici da demolire. «Ho parlato con il primo ministro Netanyahu e gli ho chiesto di inviare a nome del governo di Israele un messaggio all’Alta Corte per esprimere una netta opposizione alla distruzione di quelle case», ha detto perentorio il ministro dell’istruzione e leader di Casa Ebraica, Naftali Bennett, tra gli applausi dei coloni che lo hanno invitato ad uscire dal governo e portare Israele a nuove elezioni (Casa ebraica è fondamentale per la maggioranza). Poco dopo i coloni, sotto gli occhi ammirati di altri esponenti della destra giunti a Bet El – i deputati Moti Yogev (Casa ebraica) e Oren Hazan (Likud) e l’ex ministro Eli Yishai – hanno forzato i blocchi della polizia scandendo “Un Ebreo non sfratta un Ebreo”. Immediata la reazione del premier Netanyahu: «La nostra posizione su questo tema è chiara. Ci opponiamo alla distruzione delle case e stiamo agendo per impedire che questo passo».

 

Nelle stesse ore circa 250 israeliani hanno rioccupato ciò che resta dell’insediamento colonico di Sa Nur, nell’area di Nablus, sgomberato nel 2005 dall’esercito nel quadro del “disimpegno” che vide l’evacuazione di tutte le colonie ebraiche a Gaza e di quattro in Cisgiordania. Anche in questo caso è presente un deputato di Casa ebraica, Bezalel Smotrich, accompagnato da un ex parlamentare dell’estrema destra, Aryeh Eldad. «Dieci anni dopo il disimpegno è giunto il momento di sistemare le cose. E cominciamo da qui, nel nord della Samaria (la Cisgiordania settentrionale, ndr)», ha spiegato Smotrich «Le famiglie hanno iniziato a ristabilirsi qui con l’intenzione di soggiornarvi». Inutile l’intimazione a lasciare Sa Nur giunta dalle forze armate. I coloni sanno che il governo li tratterà con i guanti di velluto. Ieri pomeriggio hanno cominciato ad ammassare coperte, materassi, cibo, generatori di elettricità, scorte d’acqua. E alcuni di loro, riferiva il sito israeliano Ynet, hanno scritto sui muri “Morte agli arabi”, “Grande Israele”, “Sa-Nur = Redenzione”. Tutto davanti agli occhi degli agenti della guardia di frontiera rimasti immobili.

 

Le autorità israeliane non hanno certo gli stessi riguardi per i palestinesi che costruiscono senza permesso. Ieri i bullodozer del comune di Gerusalemme hanno demolito quattro negozi a Silwan, di proprietà di due cugini, Khalil al Abbasi and Iyad al Abbasi. Senza alcun preavviso, secondo i due palestinesi. Quest’anno a Gerusalemme Est, la zona araba della città occupata da Israele nel 1967, sono state demoliti 19 edifici palestinesi “illegali”. Intanto è stata documentata, dal sito israeliano Ynet, una serie di umiliazioni e di abusi patiti dai palestinesi costretti a passare attraverso i posti di blocco dell’esercito in Cisgiordania: insulti, violenze fisiche, confisca e distruzione di telefoni cellulari.