Il giorno successivo alla sconfitta in senato di quattro disegni di legge che avrebbero imposto seppur minime restrizioni all’acquisto delle armi da guerra, lo scontro politico sulle armi è esploso a Washington con l’occupazione del congresso da parte dei parlamentari democratici. Nella mattinata di mercoledì, dopo l’apertura dei lavori, John Lewis, decano della delegazione della Georgia, veterano del movimento per i diritti civili e della storica marcia su Selma con Martin Luther King, ha chiesto la parola per denunciare lo scandaloso immobilismo dei politici su una questione che sta insanguinando la nazione.

«Sono anni che mi chiedo quando ci decideremo ad agire e fare ciò che la gente esige, ciò che è giusto e ciò che da tempo avremmo dovuto fare» ha detto Lewis raggiunto al podio da una ventina di colleghi. Ricordando la lunga lista dei “mass shooting” che sono ormai un’epidemia nazionale, Lewis ha denunciato: «davanti alla marea di sangue innocente siamo rimasti sordi (…) dov’è il cuore di questa augusta assise? Dove sono la nostra anima e la nostra forzamorale?» Così la camera del congresso americano si è trasformata in teatro di una rara contestazione.

Mentre il senato aveva respinto le riforme lungo prevedibili linee di partito, alla camera la maggioranza repubblicana ha impedito che la questione venisse votata. Al grido di «no Bill, No Break» i contestator democratici hanno chiesto che il voto venisse messo all’ordine del giorno, dichiarandosi pronti a rimanere in seduta a oltranza, anche durant la pausa prevista la prossima settimana. Alla fine dell’intervento di Lewis i “ribelli” si sono seduti al centro dell’emiciclo bloccando i lavori.

I repubblicani hanno abbandonato l’aula staccando le telecamere parlamentari che trasmettono le sedute. Il black-out è stato però aggirato dalla trasmissione via periscope (la app di video streaming di Twitter) dal telefono di uno dei contestatori, il parlamentare Californiano Scott Peters.

Il suo feed è stato subito seguito da centinaia di migliaia di spettatori e ripreso dall’emittente parlamentare C-Span (la prima volta che un network utilizza una trasmissione “pirata”). Durante tutta la giornata i parlamentari hanno esibito foto delle vittime e si sono susseguiti al podio ricordando la lista di stragi: Columbine, Aurora, Newtown, San Bernardino…Orlando. Nel nome delle vittime hanno giurato di non desistere improvvisando un bivacco per tutta la notte.
Si è trattato di un’azione di rara iniziativa politica contro il sabotaggio repubblicano delle riforme. È vero che difficilmente avrà un esito pratico, dato che se anche si votasse, la maggioranza repubblicana riuscirebbe sicuramente a bloccare nuovamente ogni disegno di legge. Ma l’occupazione del parlamento ha un cruciale valore simbolico come tentativo di rompere l’assedio lobbystico e psicologico dei repubblicani che hanno imposto di fatto un embargo su ogni riforma, facendo dello stesso argomento un tabù insindacabile.

Una strategia che impiega “l’inviolabile” diritto costituzionale al porto d’armi garantito dal secondo emendamento (una postilla alla costituzione scritta nel 1791 allo scopo di favorire la rapida formazione di milizie civili a difesa della rivoluzione) come grimaldello contro le forze progressiste. Una tattica assai efficace che riesce a tenere ostaggio il congresso malgrado nei sondaggi gli americani favoriscano ormai norme più severe per 55%-42%.

La potente lobby della National Rifle Association (Nra) mantiene una pressione costante sui politici con lauti finanziamenti a praticamente ogni rappresentante repubblicano e la costante minaccia di punire eventuali trasgressori col sostegno ad avversari elettorali. Dal canto loro i repubblicani hanno volentieri strumentalizzato le paure della propria base accusando la «sinistra» di voler disarmare i cittadini che «tentano di difendersi dai terroristi».

Paradossalmente lo spunto per l’azione dei democratici è stata proprio l’intransigenza assoluta che i repubblicani hanno esteso anche a limitare l’accesso alle armi da parte degli iscritti alle “terror list” – individui designati a rischio di “collusione terrorista” da parte dell’Fbi.

A tarda sera lo “speaker” Paul Ryan ha tentato di riprendere il controllo dell’aula ma è stato sommerso da cori di protesta. Nel capitol sono risuonate grida e urla di bagarre fra i contestatori e rappresentanti repubblicani che li hanno affrontati. Alla fine, a notte fonda i repubblicani hanno aggiornato i lavori fino a luglio lasciando nuovamente l’aula. I parlamentari hanno tenuto il podio per tutta la notte dormendo in sacchi a pelo e leggendo brani delle lettere di Martin Luther King.
L’iniziativa “sandersiana” dei parlamentari ha dimostrato una inedita volontà politica ed è emblematica di una frattura profonda in cui il fronte ideologico conservatore è ormai disgiunto dall’opinione pubblica maggioritaria, ma resta disposto a tutto – compreso appoggiare Donald Trump – pur di mantenere il potere. Da qui il ricorso a una protesta politica non vista dalla disubbidienza civile delle battaglie di mezzo secolo fa.

Come ha detto Lewis, «dopo tutti i sit-in che ho fatto negli anni ’60 mai avrei pensato che ne avrei dovuto fare uno dentro al parlamento. A volte è necessario fare qualcosa fuori dall’ordinario. Abbiamo taciuto troppo a lungo. A volte occorre fare un po’ di rumore, bisogna mettersi di traverso. Quel momento è nuovamente arrivato». In un tweet Obama ha espresso a lui e ai partecipanti la propria solidarietà.