Già alla vigilia della vittoria di Syriza in Grecia, la questione di come questa avrebbe influito sugli equilibri politici negli altri paesi altamente indebitati e afflitti da elevata disoccupazione dell’Europa meridionale era stata messa all’ordine del giorno. Vi sarebbe stato contagio? E, a loro volta, gli eventuali successi delle forze politiche ostili all’austerità in altri paesi europei in che misura avrebbero rafforzato la posizione di Atene nel suo scontro con la Troika? Dai governi dei paesi dell’Unione sottoposti al rigore delle politiche di bilancio e alla tirannia del debito, Tsipras non avrebbe raccolto, fatta eccezione per qualche rallegramento di circostanza, altro che ostilità e malevoli distinguo tra discoli e zelanti.

In fondo il successo di Syriza minacciava proprio il credito politico delle forze al governo in Spagna, Italia, Portogallo, Francia, mettendo in luce, attraverso la propria esperienza estrema, l’assoluta inefficacia delle ricette applicate in quei paesi nel contrastare gli squilibri europei e rilanciare la crescita. Tutti si affrettavano a proclamare «noi non siamo la Grecia!»

Ora, in Spagna, questo successo di una giovane formazione politica in rotta di collisione con gli interessi finanziari europei e con le corrotte oligarchie nazionali arroccate intorno alle ragioni della rendita, è infine arrivato. Con la forza simbolica che deriva a Podemos e alla sua capacità di coalizione dall’aver conquistato le municipalità di Madrid e Barcellona.

A questo punto nel braccio di ferro ingaggiato dai falchi dell’eurogruppo contro Tsipras e Varoufakis si pone un dilemma. Insistere nello strangolamento della Grecia, fino alla sua fuoriuscita dall’euro, potrebbe alimentare una forte ondata di indignazione contro gli eurodogmi dell’austerità, a cominciare dalla Spagna che andrà al voto alla fine dell’anno.

Una volta aperta l’ «uscita di sicurezza», nulla garantisce che altri, di fronte a circostanze troppo avverse e impopolari, decidano di varcarla. Il che suggerirebbe di ammorbidire il contrasto con il governo greco. Al contrario, condurre Atene alla rottura definitiva, potrebbe servire da deterrente per chiunque intendesse mettere in questione le ricette economiche e sociali imposte dalla governance europea.

La catastrofe greca costituirebbe, insomma, una formidabile arma nelle mani del terrorismo finanziario e un consolidamento della conservazione neoliberista in tutti i paesi del Vecchio Continente. È soprattutto intorno a questo potere simbolico e alla sua efficacia politica che si sta giocando la partita. Nessuno ignora infatti che esistono numerose possibilità, tecniche e politiche, di venire a capo della crisi greca senza imporre a nessuno una devastante capitolazione. E senza mettere a repentaglio, più di quanto già non lo sia, il progetto europeo.

Nondimeno c’è poco da dubitare che i falchi nordici propenderanno per la seconda opzione: quella della punizione esemplare di Atene, prima delle elezioni politiche nella penisola iberica.

E qui subentra l’interpretazione che i sacerdoti dell’euro danno tanto di Syriza quanto di Podemos: si tratterebbe in sostanza di forze euroscettiche. Circostanza decisamente negata dagli interessati che indicano proprio il terreno europeo come decisivo nel condurre la lotta per la democrazia e i diritti sociali.

Da qui la tendenza, alquanto infame, di mettere in un unico calderone «antieurpeo» Syriza, il successo di Podemos e la vittoria dell’ultrareazionario Duda alle elezioni presidenziali in Polonia.

Chi, sul versante delle destre xenofobe, per annettersi perfino la propria antitesi, chi per snaturare e demonizzare le forze democratiche che rifiutano la dottrina della governance europea.

Ma c’è un elemento che pur nell’estrema diversità delle esperienze, sottende Syriza e Podemos: sono i grandi movimenti sociali e di lotta che hanno attraversato Grecia e Spagna (vedi appunto Barcellona e Madrid) in risposta alla crisi e al suo governo. Una forza viva, maggiore di ogni contagio o emulazione. E una risorsa per il futuro.

Con questo Berlino e Bruxelles dovranno fare i conti, e, probabilmente, non solo ad Atene e Madrid.