Un puntino in mezzo al mare in una bellissima giornata di sole viene ripreso da un videoamatore. Zoomando, si rivela una piccola barca alla deriva, con a bordo una decina di persone. Migranti, come le migliaia che vediamo quotidianamente sui mezzi d’informazione. A largo della costa di Cartagena, nella striscia di mare che separa l’Algeria dalla Spagna, si svolge Havarie, il documentario che il regista Philip Scheffner presenta oggi nel concorso internazionale di documentari del Torino Film Festival, e che verrà proiettato in concorso anche al FilmMaker Festival di Milano il 30 novembre.

Havarie ha debuttato alla Berlinale 2016, nella selezione di Forum, proprio negli stessi giorni in cui Fuocoammare di Gianfranco Rosi, poi premiato con l’Orso d’oro, passava in concorso. Ma quanto più il film di Rosi ci portava vicino ai migranti e alla loro tragedia – i loro volti, gli stessi corpi senza vita di chi non è sopravvissuto alla traversata – Havarie ce ne tiene a distanza, ancorando il nostro punto di vista a quello lontano del videoamatore – Terry Diamond, di Belfast – che da una nave da crociera filma gli uomini sulla barca con la sua videocamera.

Fuori campo una miriade di voci parlano tra loro, ci costringono a ricostruire l’evento un pezzo per volta, a mettere in gioco il nostro punto di vista in mezzo ai tanti di coloro che erano presenti quel giorno o che in qualche modo sono collegati ai fatti. L’equipaggio russo dell’imbarcazione di soccorso, proveniente da diversi luoghi dell’ex Unione Sovietica, tra cui si evita di parlare del conflitto in Ucraina.

Il «testimone» di Belfast che ricorda i Troubles nell’Irlanda del Nord; tante persone che a Orano, sulla costa algerina, aspettano il momento buono per imbarcarsi verso l’Europa. Uno di loro, Abdallah, ha già tentato, ma è dovuto tornare indietro per salvare la vita a un compagno di viaggio diabetico. È convinto che tutti coloro che sono morti tentando la traversata infestino il mare, perché nel Corano è scritto che i fantasmi abitano i luoghi deserti.

Come ha trovato il filmato su cui è «costruito» Havarie?
Mi ci sono imbattuto su YouTube. Mi ha colpito subito l’immagine di questa barca minuscola in mezzo al mare, soprattutto a causa della «strana» prospettiva da cui è vista, alta e lontana. Chi stava filmando? E da dove? Poi a metà del video la camera si sposta di lato e inquadra una famiglia affacciata da un’enorme imbarcazione. Realizzare che si trattava di una nave da crociera è stato uno shock, perché ho capito che quello era il mio punto di vista da spettatore: una prospettiva in un certo senso sgradevole. Volevo sapere di più su questo evento, e ho iniziato a cercare le persone coinvolte.                                              

havarie

Chi ha contattato?
Sono partito dalla persona che aveva messo il video su YouTube: Terry Diamond, che ho raggiunto a Belfast. Poi ho cercato di scoprire di più su quello che era accaduto quel giorno: sono andato in Spagna, dove ho parlato con il personale dell’imbarcazione che aveva soccorso i migranti, e in Algeria, il paese dal quale venivano i «naufraghi» salvati dal mare quel giorno del 2012. Volevo trovarli o capire dove fossero finiti, ma non ci sono riuscito, così ho coinvolto una serie di persone che avevano già cercato di fare la traversata molte volte.

La scelta fondamentale del film, però, è proprio tenere tutti i «protagonisti» fuori campo: possiamo solo sentire le loro voci mentre vediamo unicamente le immagini girate da Diamond.
Con il cameraman del film avevamo filmato tutte le persone con cui abbiamo parlato, così come tutti i posti in cui siamo stati, ottenendo dell’ottimo materiale . Ma mentre stavamo già lavorando al montaggio qualcosa è cambiato: erano i giorni in cui si è raggiunto il picco della crisi dei rifugiati. Le immagini che rappresentavano questa crisi proliferavano ovunque: in tv, sui giornali. Così abbiamo deciso che con il nostro film avremmo voluto «aprire uno spazio » in cui fosse possibile riflettere su tutte queste immagini, rimettere in discussione e interrogarsi su ciò che si vede sullo schermo e sul proprio punto di vista. Allora siamo tornati a quell’unica immagine da cui tutto era partito combinandola con il sonoro dei materiali che avevamo raccolto.

Le voci fuori campo ci raccontano anche altre storie e altri conflitti rispetto a quelli da cui fuggono i migranti.
Tutte le persone coinvolte si servono del loro vissuto per interpretare ciò che sta succedendo: un bagaglio fatto anche di conflitti e guerra. Terry ad esempio, che ha vissuto i Troubles, ha rivisto in queste persone ciò che lui aveva vissuto in Irlanda del Nord. Havarie punta a creare una sorta di Storia «liquida» che si mischia all’autobiografia: anche quella dello spettatore, chiamato a prendere parte a ciò che vede e sente tramite il suo bagaglio personale.