Nonostante i molti stimolanti e lucidi contributi al dibattito promosso dal manifesto continuo a dubitare che ci sia vita a sinistra. Ci sono idee, passioni, speranze, delusioni, frammenti di esistenza che si richiamano a una vicenda a cui diamo convenzionalmente il nome di “sinistra”. Ma la vita, in politica, è altro: è un progetto che cambia la realtà, una comunità di pratiche e di relazioni, un senso di appartenenza, un modo di essere e di rapportarsi, una riconoscibilità esterna… Tutte cose di cui ci sono poche tracce a sinistra, nonostante la passione e l’impegno di molti. E la vita non si (ri)costruisce mettendo insieme i cocci di quel che è stato o riciclando in veste di leader i protagonisti delle sconfitte dell’ultimo decennio (fino alla disfatta del 2013) e, men che meno, i pezzi di risulta del partito che, più di ogni altro, ha dissipato la storia e il patrimonio ideale di generazioni di militanti.

Nulla di personale, beninteso. Anzi, una nuova casa, se ci sarà, dovrà essere aperta e ospitale: capace di accogliere e mettere a frutto anche esperienze ed errori ma consapevole che la costruzione di una nuova storia richiede una totale discontinuità (anche personale) rispetto al passato. Perché è inutile e un po’ patetico farsi illusioni: senza un radicale cambio di marcia, di prospettive, di organizzazione, di leadership l’irrilevanza di quel che continuiamo a chiamare “sinistra” è inevitabile. Una nuova casa e una nuova storia si possono, forse, costruire ma solo muovendo da alcuni punti fermi.

Primo. Ci vuole un progetto. Non un catalogo onnicomprensivo di illusioni, in cui è facile disperdersi e confondere. E neppure una pura indicazione di schieramento. Ma un obiettivo semplice, chiaro e comprensibile: l’uguaglianza e la pari dignità di tutti. Che è, poi, il solo modo per battere le insicurezze, le paure e le chiusure identitarie che avvelenano le nostre società. Porre un obiettivo significa assumere impegni. Da realizzare subito e a medio termine. A cui conformare le politiche economiche, nazionali ed europee (e non il contrario). Con chi ci sta. Facendone una parola d’ordine (senza distinguo intellettualistici sul presunto semplicismo e la demagogia del messaggio…). Con scelte conseguenti: gesti e alleanze sovranazionali per ribaltare l’attuale assetto europeo, critica delle politiche economiche recessive, perseguimento di un modello di sviluppo più frugale e rispettoso dell’ambiente (con abbandono della follia delle spese militari e delle grandi opere), imposizione fiscale equa ed efficace (estesa ai patrimoni e alle rendite finanziare), interventi immediati a sostegno delle fasce più deboli, ripristino delle tutele fondamentali del lavoro e dei lavoratori, introduzione di un reddito di cittadinanza, definizione di un sistema istituzionale pluralista e rispettoso delle minoranze e via elencando.
Secondo. Le idee, anche le migliori, non sono credibili senza comportamenti coerenti. Non nascondiamocelo: la sconfitta dello stato sociale, la devastazione ambientale, il degrado della vita pubblica sono avvenuti, nel nostro paese, con il concorso o, nella migliore delle ipotesi, senza reazioni apprezzabili di chi si diceva (e si dice) di sinistra. E non solo sul versante strettamente politico, come dimostra la realtà scoperchiata da «mafia capitale»…

La mancanza di comportamenti e di gesti di rottura ha lasciato ad altri (in parte i 5 Stelle) il monopolio della diversità. Di una diversità visibile, non spocchiosa, priva di demagogia ma vicina a chi, intanto, è stato spogliato di tutto, anche della speranza, e percepisce le istituzioni come nemiche. Con i gesti è mancata (manca) la vita, la presenza nei luoghi della maggior sofferenza sociale (come ha scritto su queste pagine Alessandro Portelli a proposito dei rapporti tra migranti e periferie). Le parole d’ordine di uguaglianza e di lotta alla povertà sono credibili solo se praticate. Con forme e luoghi di accoglienza, mense popolari, ambulatori di cura gratuiti, risposte dal basso ai bisogni diffusi… Con una comunità politica (perché questa è la politica) che ci metta, a seconda della capacità di ciascuno, presenza, professionalità, risorse economiche e quant’altro. A volte, qua e là, accade. Ma sono, ancora soltanto frammenti.

Terzo. C’è la questione dell’organizzazione. Le buone idee e le buone pratiche non bastano. Troppe volte abbiamo pensato, con un certo elitarismo, che idee e pratiche si autoaffermino per il fatto di essere buone. Non è così. Esse si estendono e si realizzano solo se c’è capacità di aggregazione. Se c’è una sintesi organizzativa capace di dare unità a esperienze eterogenee e di esprimere una rappresentanza (non un leader) in grado di misurarsi con una realtà in cui la comunicazione e l’immagine stanno soppiantando i valori. Una realtà che non ci piace ma che non possiamo esorcizzare. Che è meglio cercare di governare piuttosto che subire.
Non ci sono bacchette magiche né facili successi dietro l’angolo. Soprattutto dopo che, in particolare nel 2013, abbiano lasciato ad altri praterie oggi occupate. Ma le cose cambiano. E possono aprirsi altri orizzonti. Ci sarà a breve, con ogni probabilità, un referendum sullo stravolgimento della Costituzione in atto. Può (deve) essere una grande occasione di mobilitazione e di aggregazione: per vincere quella battaglia e per andare oltre. Ma si deve partire per tempo (e non all’ultimo momento). In forme nuove e coerenti. Indicando da subito modi e tappe. Contemperando urgenza e necessità di costruire su fondamenta solide.
Mi limito a qualche indicazione:

  1. occorre puntare sul protagonismo delle molte eterogenee realtà che vivono il territorio unendo riflessione e vita (nella pratica sociale, nell’informazione, nella difesa dei beni comuni e dell’ambiente, nella lotta per la casa e per il lavoro…);
  2. serve una struttura di servizio autorevole che coordini in via provvisoria questo percorso con uno sguardo lungo, capace di andare oltre: non è impossibile trovare disponibilità a farlo;
  3. in questo percorso è auspicabile che ci siano anche le forze politiche superstiti della sinistra, ma alla irrinunciabile condizione che non ci siano pretese egemoniche o aspettative legate a rendite di posizione.

Cosa c’è, in ciò, di diverso dai molti tentativi falliti degli anni scorsi? Non la pretesa di avere scoperto l’acqua calda. Più semplicemente, insieme a una occasione nuova, il riferimento a realtà sociali, il radicamento territoriale, l’accento sulla organizzazione, la tensione verso una rappresentanza radicalmente rinnovata. È troppo poco per ricostruire una vita a sinistra? Per saperlo bisogna provarci.