La controffensiva kurda nel nord della Siria segna un’altra vittoria: dopo la liberazione di oltre cento villaggi, i kurdi hanno tagliato ieri la principale via di rifornimento dell’Isis al confine con l’Iraq. Una frontiera che si sfaldò subito sotto gli stivali islamisti, porosa, permeabilissima. Oggi lo è di meno: i combattenti kurdi hanno assunto il controllo delle zone a nord est della Siria e la strada che collega Tel Hamis a al-Houl, vitale ponte con l’Iraq e passaggio per mesi di miliziani e uomini.

«Quella era la principale arteria dell’Isis – ha raccontato Mahmoud, funzionario kurdo – Siamo sicuri di finire la guerra qui, a Tel Hamis». Un ottimismo che trova riscontro nelle tante vittorie delle Unità di Difesa Popolari, da Kobane in poi. Ma la macchina da guerra dell’Isis, che pare frenata solo dalla resistenza popolare kurda, continua a mordere: sale il numero di assiri cristiani rapiti due giorni fa dai miliziani dello Stato Islamico a nord della Siria, nella regione di Hasaka. Sarebbero almeno 150, migliaia quelli in fuga.

E se il califfato stavolta non conferma i rapimenti – che secondo fonti kurde potrebbero essere usati come merce di scambio con detenuti islamisti – la Casa Bianca non perde tempo e condanna: «L’ultimo attacco dell’Isis contro una minoranza religiosa è l’ennesima prova del trattamento disumano riservato a quelli che non concordano con il loro credo tossico», ha detto il portavoce di Washington, Jen Psaki.

Meglio infilarci tutti nel calderone della condanna: Psaki ne ha così approfittato per accusare anche il presidente Assad di bombardare zone abitate da civili. La dichiarazione, non certo nuova, giungeva alle orecchie di Assad mentre il presidente accoglieva una delegazione di parlamentari francesi. Una visita ufficiosa che però rappresenta il primo contatto diplomatico tra Damasco e Parigi dal 2012.

Il ministro degli Esteri Fabius si è subito dissociato dalla visita, troppo preso in queste ore dal lanciare i primi raid francesi sull’Iraq e dal rapimento di una cittadina francese, Isabelle Prine: la dipendente della Banca Mondiale è stata sequestrata martedì in Yemen insieme all’interprete Sherine Makkaoui, presumibilmente dal braccio locale di Al Qaeda. Fabius ha detto ieri di non aver ancora ricevuto richieste dai rapitori, mentre la famiglia della Makkaoui si è mossa prendendo contatti con leader tribali yemeniti.

La strategia del rapimento è diventata in pochi mesi una delle più proficue per i gruppi estremisti, che si tratti dei qaedisti che puntano alla Francia o degli uomini del califfato. Per loro non ci sono confini che tengano: a poche ore dal rapimento dei 150 assiri cristiani, a finire nella rete dell’Isis sono stati un centinaio di membri di una tribù sunnita irachena, sequestrati vicino Tikrit. Nella zona in questi giorni si stanno radunando truppe governative e milizie sciite, in vista di un’ampia controffensiva (a cui prenderanno parte anche i pasdaran iraniani) per liberare definitivamente la città natale di Saddam, da mesi contesa tra Baghdad e califfato.

Il sequestro, secondo fonti locali, è volto a indebolire il fronte anti-Isis: i 100 sunniti fanno parte di tribù schieratesi a fianco del potere centrale, pronti a prendere le armi contro al-Baghdadi. Non è la prima volta che i miliziani dell’Isis colpiscono con brutalità e violenza le tribù sunnite a loro rivali: centinaia di uccisioni, fosse comuni, rapimenti a cui fa da contraltare la flebile risposta del governo sciita di Baghdad, la cui debolezza radica le divisioni settarie, tra i mali più pericolosi che affliggono l’Iraq.