L’Ucraina in pillole: Poroshenko ottiene 265 voti in parlamento per modificare la costituzione e garantire maggiore autonomia alle regioni orientali, controllate dai filorussi. Si tratta di una prima lettura, cui ne dovrà seguire un’altra: a Poroshenko però serviranno 300 voti per adempiere agli accordi di Minsk.

Molti parlamentari hanno scandito insulti e anatemi contro il presidente durante tutta la votazione (tra le più scatenate contro il provvedimento Julia Tymoshenko) perché ritengono si tratti di un regalo a Vladimir Putin. Più realistico – invece – che le stesse nazioni occidentali che hanno sostenuto l’Ucraina, abbiano spinto Poroshenko ad accettare l’autonomia del Donbass, per cominciare quanto meno a «normalizzare» il paese. Subito dopo il voto, fuori dalla Rada, i neonazisti hanno protestato per quanto deciso dai parlamentari, dando vita a scontri contro la Guardia nazionale.

È stata anche lanciata una granata. Il risultato: centinaia di feriti tra soldati e giornalisti, una vittima, un militare di 25 anni.

Una trentina gli arresti, tra cui membri di Svoboda, gruppo neonazista e antisemita già protagonista della Majdan. Nel frattempo, i rappresentanti del Donbass facevano sapere di non avere alcuna intenzione di prendere per buona la decisione di Kiev. «Non riconosciamo quanto sta accadendo ora alla Rada perché sappiamo per certo che gli emendamenti proposti da Poroshenko sono solo un’imitazione degli accordi di Minsk-2», ha dichiarato Pushilin, negoziatore della repubblica di Donetsk. Infine, Mosca ha lanciato una nuova riunione del gruppo dei normanni (Russia, Kiev, Francia e Germania) da tenersi a metà settembre.

Partiamo dal primo dato, interno: per Poroshenko e il suo governo è arrivata la resa de conti. Ieri le proteste degli ultranazionalisti e dei neonazisti fuori dal parlamento hanno reso palese il peso di questi gruppi nella politica interna ucraina, al di là del loro insuccesso elettorale alle ultime votazioni. Protagonisti della Majdan e dei cambiamenti politici che sono seguiti, hanno chiesto sempre più potere, finendo per spostare l’arco parlamentare ucraino a destra (ancora più di quanto già non fosse), in nome del «patriottismo» e dei sentimenti anti Mosca.

Prima di tutto hanno ottenuto lo status di battaglioni, poi alcuni dei loro leader, come ad esempio Yarosh di Settore Destro, sono finiti in posizioni importanti nell’amministrazione della sicurezza interna, infine hanno chiesto e ottenuto armi e soldi dal governo per proseguire la guerra nelle regioni orientali. E ora, di fronte al voto parlamentare, si sono auto-nominati «controllori» del governo di Kiev.

Demonstrators, who are against a constitutional amendment on decentralization, clash with police outside the parliament building in Kiev, Ukraine, August 31, 2015.  REUTERS/Valentyn Ogirenko

Alla prossima votazione, a fine anno, Poroshenko dovrà ottenere almeno 300 voti, una circostanza tutt’altro che scontata. La votazione di ieri, infatti, è stata ampiamente contestata, specie dal partito Patria di Julia Timoshenko, ex regina del gas e da sempre a favore di una riconquista completa delle regioni orientali.

Poroshenko ora si trova in una situazione complicata, che arriva dopo le tante concessioni fatte ai gruppi paramilitari.

Approvare una riforma della costituzione che permetta maggiore autonomia alle regioni orientali è una condizione necessaria alla messa in pratica degli accordi di Minsk e dovrebbe dimostrare la buona predisposizione di Kiev a quanto pattuito. Non la pensano così i gruppi paramilitari e ultranazionalisti. La svolta che imporrebbe l’allargamento dell’autonomia delle regioni orientali, viene letta come un favore a Putin e alla Russia, perché di fatto consegnerebbe il Donbass ai filorussi, che ormai da tempo amministrano, non senza difficoltà, quelle zone.

La prova di forza di ieri dell’estrema destra ucraina, che ha finito per scontrarsi contro la Guardia nazionale, creata ad hoc proprio attraverso il «recupero» dei gruppi paramilitari, dimostra il credito che queste formazioni sentono di avere nei confronti dell’Ucraina di Poroshenko.

Demonstrators, who are against a constitutional amendment on decentralization, clash with police outside the parliament building in Kiev, Ukraine, August 31, 2015.  REUTERS/Valentyn Ogirenko

Quest’ultimo, dopo essersi proposto come uomo di pace, e aver bombardato l’est, ha i suoi interessi economici, come tutti gli oligarchi ucraini che lo hanno preceduto, e sa bene che senza quel cambiamento costituzionale la situazione attuale rimarrebbe completamente in stallo. Pesa anche il recente «cessate il fuoco», firmato sempre a Minsk dai rappresentanti del Donbass e di Kiev, arrivato per consentire alle scuole delle regioni orientali di poter iniziare le proprie attività, senza il rischio di essere colpiti dalle artiglierie degli opposti schieramenti (almeno, in teoria).

In serata Poroshenko si è rivolto alla popolazione ucraina, con un discorso alla televisione pubblica.