Quando, all’inizio di settembre, Hans-Georg Maassen, responsabile dell’Ufficio per la protezione della Costituzione, i «servizi» che vigilano sui gruppi radicali del paese, aveva lanciato l’allarme sul rischio rappresentato «dallo sviluppo di un terrorismo di estrema destra» in Germania, in pochi sembravano avergli dato ascolto.

Le parole del capo della sicurezza interna, raccolte dal Tagesspsiegel, che annunciavano una «pericolosa radicalizzazione delle formazioni anti-immigrati», arrivavano infatti dopo l’apertura di Angela Merkel nei confronti di quei profughi, in primis siriani, che riempivano in quel momento le prime pagine dei giornali di tutta Europa e dopo le manifestazioni di sostegno che quella svolta aveva prodotto in tutto il paese. Invece di una Braune Armee Fraktion, tra i tedeschi era sorta una gara di solidarietà, con file di persone pronte ad accudire i profughi.

Malgrado il record di attentati razzisti che si era registrato durante l’estate, il pericolo sembrava essere stato esorcizzato.

Solo negli ultimi giorni, prima il tentato omicidio della candidata a sindaco di Colonia da parte di un ex militante neonazista, e poi il ritorno sulla scena del movimento xenofobo e anti-musulmano di Pegida, radicato soprattutto ad Est, indicano come le cose non stiano però così.

Inizialmente spiazzata dalla nuova linea della leader della Cdu e dall’appoggio di massa di cui ha goduto per settimane nella società tedesca, l’estrema destra ha riorganizzato le proprie fila, pronta a ripresentarsi non appena gli indici di popolarità della Cancelliera e l’approvazione della sua politica nei confronti degli «stranieri» avessero ceduto il passo ad inquietudine e paura, tali da far dimenticare all’opinione pubblica perfino lo scandalo Volkswagen.

La kermesse organizzata lunedì sera da Pegida nel centro di Dresda per celebrare il primo anniversario della nascita del movimento anti-islamico, ha offerto una testimonianza evidente di questo clima. Circa ventimila persone si sono riunite, fronteggiate da altrettanti manifestanti antifascisti con cui sono scoppiati a più riprese dei gravi incidenti. Nella folla, che prevedeva l’abituale mix di giovani neonazisti e di coppie un po’ in là negli anni, c’era chi ostentava dei cartelli in favore del premier ungherese Orbán, divenuto un beniamino dell’estrema destra europea in virtù della sua politica xenofoba.

Oltre a quello del fondatore di Pegida, Luz Bachmann che dopo essersi autosospeso in seguito allo scandalo suscitato da alcune sue foto travestito da Hitler che erano state postate su Facebook, ha ripreso le redini del movimento, l’intervento più atteso dal palco era quello dello scrittore turco-tedesco Akif Pirinçci, un popolare autore di libri polizieschi (inediti in Italia) noto in particolare per l’omofobia e per le sue idee ultraconservatrici. Pirinçci non ha deluso le aspettative, affermando che i profughi vanno tutti espulsi, prima di aggiungere che «certo ci sarebbero altre alternative, ma sfortunatamente i campi di concentramento non sono più in funzione».

Parole che hanno spinto il gruppo editoriale Bertelsmann, che pubblica i romanzi di Pirinçci, ad annunciare che li ritirerà dalle librerie e scioglierà il contratto con lo scrittore, mentre la procura di Dresda aprirà un’inchiesta nei suoi confronti per apologia del nazismo, accusa per cui rischia tra i 3 e i 5 anni di carcere.

Dopo che la candidata di Pegida, Tatjana Festerling, ha sfiorato il 10% dei consensi proprio nelle elezioni municipali della capitale della Sassonia, mentre il partito anti-euro e anti-immigrati dell’Alternative für Deutschland vola verso l’8% delle intenzioni di voto nazionali, con punte anche superiori nelle regioni orientali, è però difficile credere che la minaccia dell’estremismo razzista possa essere sconfitta solo in nome del codice penale.

Per la politica e la società tedesca è forse questa la sfida più complessa da affrontare dopo gli anni della riunificazione del paese.