Dalle quattro alle otto asserragliati negli uffici di Palazzo San Macuto sotto la pugnace presidenza di Rosy Bindi, che però alla fine non riesce ad evitare una fuga di notizie. Mentre ’fuori’ il Pd trattiene il fiato per paura di scoprire qualche altra brutta novità sulle liste. Renzi da Napoli garantisce che «nelle liste per le regionali il Pd non ha alcun impresentabile». Su quelle apparentate però, nessuno garantisce. Eppure gli eletti potrebbero essere determinanti per le maggioranze a trazione dem.

Ieri la commissione antimafia si è infilata in un lavoro immane e politicamente molto sensibile: identificare, verificare per poi rendere pubblici i nomi che cadono nelle maglie del «codice antimafia» approvato lo scorso settembre a integrazione della legge Severino. In pratica la commissione metterà una lente di ingrandimento mediatico sui candidati coinvolti in reati di criminalità organizzata contro la pubblica amministrazione, estorsione ed usura, traffico di stupefacenti, traffico illecito di rifiuti e altre gravi condotte. Che i partiti o le liste apparentate avrebbero dovuto tenere alla larga di loro iniziativa. Ma la vicenda è delicata: alcuni potrebbero essere in attesa di un nuovo grado di giudizio. E quindi essere politicamente «poco raccomandabili» ma tecnicamente presentabili. E il rischio che tutta la vicenda finisca in un pasticcio è fortissimo. Tanto più che ormai le liste sono chiuse e la pubblicità dei nomi e degli addebbiti è un gesto di trasparenza, una ’moral suasion’.
Intanto l’ufficio di presidenza della commissione dopo quattro ore di lavoro ha dovuto alzare bandiera bianca e rimandare tutto al prossimo venerdì, antivigilia del voto e vigilia del silenzio elettorale. I commissari non hanno fatto in tempo a finire perché lo sforzo è monumentale: bisogna chiedere alle prefetture le liste dei candidati alle regionali, inviarle alle procure che a loro volta debbono incrociare i dati con il cervellone della direzione antimafia. Che infine li rimanda alla commissione con l’eventuale marchio di infamia. «Nonostante lo sforzo grandissimo dei nostri uffici» ha spiegato in serata Peppe De Cristofaro di Sel, «i lavori sono stati aggiornati per una serie di ragioni legate sostanzialmente ad un tardiva comunicazione degli elenchi da parte di qualche prefettura», ma, ha assicurato «non ci sono casi in Liguria, Marche, Veneto, Toscana». In sostanza all’appello mancherebbero i dati della Campania, che però sono anche i più ’scottanti’: c’erano quelli di Napoli, ma non quelli di Avellino, Caserta e Salerno.

Ma nel corso della riunione è esplosa la tensione quando Bindi, cliccando sul sito del Corriere della sera, ha scoperto che qualcuno dall’interno aveva fatto filtrare i nomi dei quattro «impresentabili» pugliesi. Che sono: Fabio Ladisa di «Popolari con Emiliano» il quale, dice la motivazione dell’antimafia, «è stato rinviato a giudizio per furto aggravato, tentata estorsione, commessi nel 2011, udienza fissata per il 3 dicembre». Nelle maglie del codice cade anche il fittiano Enzo Palmisano, accusato di voto di scambio (ma il procedimento è caduto in prescrizione) e Massimiliano Oggiano, della lista «Oltre»: anche per lui l’accusa di voto di scambio con metodo mafioso, assolto in primo grado e in attesa di appello (udienza fissata per il 3 giugno). E infine Giovanni Copertino, accusato di voto di scambio dell’Udc in lista i con Poli-Bortone (anche qui sentenza di prescrizione ma ricorsa e in attesa di appello).

Bindi, furiosa con i suoi, emana un comunicato di fuoco che «stigmatizza la violazione del segreto» e prende atto del «venir meno delle regole di correttezza e reciproca fiducia tra i membri dell’ufficio di presidenza». Il sospetto della fuga di notizie cade sul deputato a 5 stelle Francesco D’Uva. Ma la frittata è fatta. Ed ora i commissari sperano che venerdì tutti i dati ci siano: per evitare che tanto chiasso si risolva in un nulla di fatto e che lo «sputtanamento» a pochi giorni dal voto non finisca per abbattersi solo sui quattro candidati pugliesi. In ogni caso le polemiche sono assicurate.