Con rulli di tamburi e danze tradizionali, si è chiuso domenica sull’isola di Margarita (in Venezuela) il vertice del Movimento non allineati (Mnoal). In apertura, con un simbolico colpo di martello, il presidende iraniano Hassan Rohani aveva consegnato la presidenza dell’organismo a Nicolas Maduro. Fondato nel 1961 a Belgrado, il Mnoal è formato da 120 stati: 53 dell’Africa, 40 dell’Asia, 26 del Latinoamerica e dei Caraibi, due dell’Europa orientale, e inoltre da 17 paesi osservatori iniziali, 10 organizzazioni osservatrici e movimenti di liberazione. Si tratta dell’organismo più grande dopo l’Onu, che conta 194 paesi. Il Mnoal rappresenta oltre la metà della popolazione mondiale.

Al XVII vertice hanno partecipato 140 delegazioni (104 quelle dei paesi membri). Si sono incontrate nel Centro congressi di Margarita, in cui è stata scoperta una statua allo scomparso presidente venezuelano Hugo Chavez, grande tessitore delle relazioni sud-sud. Un vertice nel segno di Bandung, la Conferenza afroasiatica che si è svolta in Indonesia, nell’aprile del 1955. Un’iniziativa promossa allora da cinque paesi decolonizzati dell’Asia, il Pakistan, l’India, l’Indonesia, l’attuale Sri Lanka e la Birmania. I 29 paesi presenti a Bandung hanno condannato il colonialismo e l’apartheid, e discusso di sottosviluppo e povertà, dando vita al cosiddetto Terzo Mondo.

Temi ancora attuali, anche nel contesto di un mondo multipolare sconvolto da guerre e neocolonialismo. I paesi latinoamericani e caraibici non parteciparono a Bandung, ma in seguito hanno avuto un ruolo propulsivo nel Mnoal, assumendone per tre volte la presidenza: con Cuba, con la Colombia e ora con il Venezuela. Dall’inizio del secolo XXI, dal continente latinoamericano retto da governi socialisti o progressisti, è emerso un orientamento in politica estera basato sull’impegno per una nuova indipendenza, sulla multipolarità, sul non allineamento alle politiche di guerra, sul rafforzamento degli organismi regionali per l’interscambio commerciale come il Mercosur, e la creazione di altri con finalità più ampie e politiche come l’Union de Naciones Suramericanas (Unasur), la Alianza Bolivariana de America (Alba) e la Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribenos (Celac), e ancora la cooperazione sud-sud.
Orientamenti che hanno caratterizzato la Dichiarazione di Margaritarita dopo cinque giornate di incontri su “Pace, sovranità e solidarietà per lo sviluppo”.

Un documento in 21 punti su cui la variegata e articolazione dei paesi ha raggiunto un consenso, nonostante la diversità di contesti e di interessi, anche fortemente conflittivi e contraddittori, emersi nel dibattito.
Al centro, la questione siriana, quella palestinese, il diritto all’autoderminazione dei popoli (come Porto Rico e Saharawi), la ferma condanna al blocco economico e finanziario contro Cuba e il rifiuto delle ingerenze straniere, a partire dalle sanzioni Usa imposte al Venezuela.

Il documento parte dalla constatazione che, nel mondo attuale, “sono i paesi in via di sviluppo quelli che più soffrono per le violazioni al diritto internazionale, per le invasioni e per le devastazioni di guerra e conflitti armati provocati principalmente dagli interessi geopolitici dei grandi centri di potere e dai conflitti provenienti dal colonialismo e dal neocolonialismo”. Rileva che “molte di queste crisi sono state scatenate per la violazione dei propositi e dei principi stabiliti nella Carta della Nazioni unite e nei Principi di Bandung”, e li ripropone come base della rifondazione dell’organismo. Mette al centro il disarmo, la lotta al cambiamento climatico e allo strapotere delle multinazionali, la partecipazione delle donne, dei giovani e dei movimenti all’agenda Mnoal.

Punti forti della Dichiarazione, la riforma dell’Onu, la questione dei rifugiati e dei migranti, la lotta ai paradisi fiscali e la richiesta di un’istanza internazionale per portare a giudizio i crimini perpetrati dalle grandi imprese transnazionali ai danni dell’ambiente e dei popoli del sud. Questioni che Venezuela, Ecuador e Bolivia portano all’Assemblea Onu, l’ultima di Obama come presidente degli Stati uniti. Attualmente, Caracas esercita la direzione pro-tempore di 6 organismi internazionali di prima grandezza: il Consiglio di sicurezza dell’Onu, il Consiglio dei diritti economici e sociali dell’Onu, la presidenza della Unasur, quella del Movimento dei non allineati e la presidenza del Mercosur.

Quest’ultima, però, è messa a rischio dall’attacco di due paesi membri tornati al neoliberismo (Argentina e Brasile) e dal Paraguay, che ha inaugurato il format dei golpe istituzionali. Un attacco respinto all’interno del Mnoal, e sferrato, per Nicolas Maduro, da una Triplice Alleanza all’insegna di un nuovo Piano Condor. Il riferimento è alla tristemente nota Triple A, che ha agito negli anni ’70 a partire dall’Argentina nell’ambito della struttura criminale, a guida Cia, con cui i dittatori del Cono Sur eliminavano gli oppositori (il Plan Condor).

Un piano – hanno sottolineato i paesi socialisti del Latinoamerica – che oggi si esprime in forme più subdole e meno cruente, ma non meno devastanti: in forme finanziarie, mediatiche, giudiziarie, istituzionali (come i golpe parlamentari perpetrati in Paraguay o in Brasile). Per questo, il Mnoal ha espresso solidarietà all’ex presidente del Brasile, Dilma Rousseff – deposta con un impeachment votato da parlamentari e senatori in gran parte inquisiti per corruzione – e all’ex presidente brasiliano Lula da Silva, che la magistratura vorrebbe mettere in carcere. Lula ha inviato un messaggio al vertice.
Anche il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki- moon, in scadenza di mandato, si è rivolto ai Non Allineati con un messaggio video. L’elezione del nuovo Segretario generale Onu costituisce il punto 11 della Dichiarazione di Margarita. Il Mnoal chiede “maggiore trasparenza nella nomina e nell’elezione, in conformità con i principi di rotazione geografica e di uguaglianza di genere”.

Altro risultato importante annunciato da Maduro nel vertice è una “prossima intesa” sul prezzo del petrolio, che ha subito una caduta verticale. L’Iran, venuto a concludere altri importanti accordi commerciali, ha dato il suo assenso per un congelamento della produzione, richiesto da Venezuela e Ecuador. Ora, l’Opec sta programmando una riunione straordinaria con i paesi non-Opec, Russia in primis. La decisione potrebbe essere presa al prossimo vertice informale di Algeri, in programma per il 27 settembre se i ministri dell’Organizzazione petrolifera si troveranno d’accordo.