Dopo il passo fatto lunedì dai giudici della Corte suprema, che avevano escluso Gaza dalle elezioni municipali, ieri è giunta la decisione del governo palestinese prevista da tutti. Il voto amministrativo, previsto tra tre giorni, l’8 ottobre, è stato rinviato di almeno quattro mesi. Ad annunciarlo è stato lo stesso primo ministro Rami Hamdallah. La scelta, ha spiegato, è stata fatta «nel miglior interesse del nostro popolo». Le elezioni, ha provato a rassicurare, «saranno tenute nello stesso giorno in tutti i governatorati». L’intenzione dell’Anp, ha concluso, «è che si possa votare sull’intero territorio palestinese occupato». Ma nessuno crede che le urne si apriranno all’inizio del 2017. E neanche in primavera come sostengono alcuni. Il voto, di fatto, è rinviato a tempo indeterminato e, dopo la sentenza della Corte Suprema che ha proclamato “illegali” le corti distrettuali di Gaza, chiamate a monitorare e convalidare le consultazioni, è chiaro che i palestinesi della Striscia in ogni caso non andranno ai seggi elettorali. Resteranno esclusi anche quelli di Gerusalemme Est.
La decisione è politica ed è stata presa dai vertici di Fatah, il partito guidato da Abu Mazen. Il presidente palestinese esce con le ossa rotte da questa vicenda. «Io rinvio delle elezioni e tenerle solo in Cisgiordania si rivelerà un disastro per l’Anp e Abu Mazen», ci dice l’analista Hamada Jaber ricordando che un sondaggio pubblicato a fine settembre dal suo centro, il Palestinian Center for Policy and Survey Research, aveva mostrato che il 60% dei palestinesi considerava negativamente e frutto di decisioni politiche già la prima sentenza della Corte Suprema, quella dell’8 settembre, che aveva sospeso la preparazione del voto in accoglimento di alcuni ricorsi. «E ora a maggior ragione nessuno crede alle motivazioni giuridiche del rinvio. Tutti sanno che è un passo fatto dai vertici di Fatah e dell’Anp al primo pretesto che si è presentato per escludere Gaza prima e poi cancellare il voto», aggiunge Jaber.
Il pretesto è stata la decisione – anche quella con evidenti motivazioni politiche – presa delle Corti di Gaza di dichiarare illegali cinque delle nove liste presentate da Fatah nella Striscia, lembo di terra palestinese che dal 2007 è sotto il pieno controllo del movimento islamico Hamas. Gli islamisti, decisi a contenere le ambizioni di Fatah a Gaza, hanno offerto su di un piatto d’argento ai giudici della Corte Suprema a Ramallah la ragione per fermare la macchina elettorale. «Le municipali erano diventate un rischio per l’Anp» spiega Hamada Jaber «quando Abu Mazen le ha indette non si aspettava la partecipazione di Hamas. Il voto ha assunto un importante significato politico, perché dopo un lungo boicottaggio delle urne gli islamisti si preparavano a sfidare Fatah anche in Cisgiordania. E Hamas aveva le possibilità per prendere il controllo di alcune municipalità cisgiordane».
Ha inciso però anche la rivalità tra Abu Mazen e il “reietto” Mohammed Dahlan che il presidente palestinese, contro le pressioni di Giordania, Egitto ed Emirati, non sembra avere alcuna intenzione di “perdonare” e di riammettere in Fatah. L’esclusione di Gaza dalle elezioni avrebbe il fine, dicono fonti di Fatah, di impedire che siano eletti candidati indipendenti ma in realtà vicini a Dahlan che a Gaza conserva ancora un sostegno significativo nei ranghi di Fatah, grazie anche ai finanzimenti ingenti che riceverebbe dagli Emirati e altri Paesi arabi che vorrebbero vederlo al posto di Abu Mazen.