Se non avete mai sentito parlare di ivermectina e artemisinina, il comitato che ogni anno assegna il Nobel per la Medicina si è incaricato ieri di ricordarci che queste due sostanze hanno cambiato (e salvato) la vita di milioni di persone nel mondo.

I nuovi premi Nobel in medicina di quest’anno sono tre: l’irlandese americano William C. Campbell, il giapponese Satoshi Omura e la cinese Youyou Tu. Ai primi due va un quarto del premio di 8 milioni di corone svedesi (circa 850mila euro) per aver sviluppato un nuovo farmaco, appunto l’ivermectina, che ha aiutato a combattere due devastanti parassitosi: la cecità fluviale (o oncocercosi), provocata da un parassita trasmesso dalla puntura di un moscerino che si nutre di sangue chiamato Simulium, e l’elefantiasi (o filariosi linfatica), provocata da vermi parassiti della famiglia delle Filariidae che si contagiano attraverso il morso delle zanzare. Alla terza, metà del premio per aver scoperto il potere dell’artesimina nel combattere la più nota malaria, trasmessa da un parassita – il Plasmodium – attraverso la puntura della zanzara anofele. Si tratta della prima scienziata cinese a cui viene assegnato un premio Nobel per una ricerca totalmente svolta in Cina, ed è solo la dodicesima donna a ricevere questo premio.

«Le due ricerche hanno fornito all’umanità nuovi potenti mezzi per combattere malattie debilitanti che colpiscono centinaia di milioni di persone in tutto il mondo ogni anno», scrive il comitato nella sua motivazione. I vermi parassiti colpiscono un terzo dell’umanità, soprattutto nelle zone subsahariane, in Asia meridionale e America latina.

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Omura, biochimico ormai ottantenne, e professore emerito all’università Kitasato di Tokyo, è un esperto nell’isolamento di prodotti da microrganismi. Negli anni Settanta studiava nuovi ceppi di batteri chiamati Streptomyces in campioni di suolo giapponese. Fra migliaia di questi batteri, ne scelse una cinquantina di promettenti che passò a Campbell, esperto in biologia dei parassiti e che lavorava all’istituto Merck. Da uno di questi, lo Streptomyces avermitilis, Campbell estrasse l’avermectina che venne successivamente chimicamente modificata in ivermectina. Fu sempre Campbell a dimostrare la sua efficacia contro i parassiti animali.
Il farmaco venne messo in vendita nel 1981. Nel 1987 la Merck decise di donare il farmaco a chiunque volesse curare la cecità fluviale (detta così perché i moscerini ematofagi che portano le larve del verme causa della malattia vivono in prossimità dei corsi d’acqua). Un decennio dopo, fece lo stesso per la cura della filariosi linfatica, che provoca una infiammazione e rigonfiamento dei vasi linfatici e febbre (di qui il nome «elefantiasi»).

Come spesso accade per i premi Nobel, le storie dietro le ricerche che hanno portato alle scoperte premiate sono altrettanto interessanti che la scoperta scientifica in sé. Nel caso di Youyou Tu (classe 1930) lo è in modo particolare.
Negli anni Sessanta in Cina la malaria era in aumento perché il parassita era diventato resistente al chinino usato tradizionalmente. Fu allora che il governo cinese lanciò un progetto militare segreto chiamato Progetto 523 (dal mese e giorno dell’anno 1967 in cui iniziò), in piena guerra con il Vietnam. Era l’epoca della rivoluzione culturale, in cui per molti accademici era impossibile lavorare (lo stesso marito di Tu venne rinchiuso in un campo di lavoro) e le pubblicazioni scientifiche erano vietate. Ma la guerra alla malaria era una priorità nazionale, anche perché sul fronte vietnamita la malattia faceva strage.

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Esattamente come gli americani, anche i cinesi avevano analizzato centinaia di migliaia di composti sintetici alla ricerca di qualcosa che fermasse il plasmodio, senza successo. Per questo Tu decise di mettersi a studiare 2000 ricette della medicina tradizionale cinese. Dopo aver prodotto più di 380 estratti di erbe, ne identificò uno, proveniente dalla Artemisia annuale (pianta molto diffusa in Cina), indicato per il trattamento di «febbri intermittenti», che in effetti diminuiva il numero di parassiti nei topi. Con una tecnica rivisitata alla luce della chimica moderna, Tu riuscì a isolare il principio attivo che era efficace al 100%. Non contenta, iniziò a testare la sostanza su se stessa prima di provarlo su altre cavie umane. Per immergersi nel lavoro, dovette mettere la figlia di quattro anni in un collegio, tanto che la figlia al suo ritorno non la riconobbe. Ma Tu dichiarò a New Scientist che «il lavoro era la priorità, per cui ero disposta a sacrificare la mia vita personale».

La sua ricerca venne pubblicata solo nel 1977, e in forma anonima su una rivista cinese. Oggi, nell’epoca delle severe valutazioni della qualità della ricerca su riviste scientifiche internazionali ad alto impact factor, Tu non avrebbe avuto nessuna chance di vincere nemmeno una borsa di studio.