L’appuntamento per ottobre è già fissato, in teoria. Per ora si tratta di un titolo generico, una roba tipo ’ battesimo della cosa rossa’. In effetti le forze della sinistra ex lista Tsipras (Sel, Prc, Altra Europa) e le neonate associazioni degli ex Pd (Stefano Fassina, Pippo Civati, Sergio Cofferati) nelle iniziative di quest’inizio d’estate già si stanno «mescolando» per inventarsi il miglior cocktail possibile, nonostante tutto; per esempio, nonostante le differenti opinioni già registrate sul sì del governo Tsipras al memorandum della Troika.

Oggi a Roma, nella sala del Cenacolo, si riuniscono i parlamentari di sinistra per dare vita, spiega Arturo Scotto, capogruppo di Sel alla camera, «ad uno spazio di lavoro di deputati e senatori per un’iniziativa politica e legislativa comune». Partecipano i parlamentari di Sel, gli ex Pd e alcuni ex M5S. Si tratta di stringere «un patto, un programma minimo di lavoro a partire dalla legge di stabilità», spiega ancora Scotto che aprirà l’assemblea (chiusa alla stampa), «che non nasce da una semplice convergenza tra stati maggiori ma è figlio del trambusto di questi anni, di un lavoro costante sul merito delle cose, e delle piazze sul lavoro, sulla scuola, sui diritti». Nota bene: non nasceranno nuovi gruppi parlamentari. Pippo Civati per ora non li vuole: «Finirebbe per dare l’impressione che la nuova sinistra nasce da un movimento di poltrone». Ai suoi più vicini racconta in più che sta lavorando a un’area di ex 5 Stelle che guarda con diffidenza alla sinistra tradizionale.

La verità è che la matassa della futura sinistra si sta imbrogliando. Gli otto referendum depositati la scorsa settimana proprio da Civati (su scuola, Italicum, trivelle, jobs act) provocano non pochi malumori. L’accusa è quella della «fuga in avanti». I primi a tirarsi indietro sono stati gli insegnanti anti-Giannini, favorevoli a un referendum – sul quale hanno indetto infatti un’assemblea il 6 settembre – ma non a rischiare di non raccogliere le firme sufficienti entro il 30 settembre (data in cui devono essere consegnate alla Cassazione), con il pericolo che un eventuale flop si trasformi in un boomerang. Autorevoli costituzionalisti hanno espresso perplessità su un quesito relativo all’Italicum. Su quello del jobs act la Fiom è tiepida. E infine Sel, Fassina e Susanna Camusso invitano Civati a preparare l’iniziativa in maniera più condivisa, quindi rimandarla al prossimo anno.

Civati non ne vuole sapere e da qualche giorno mena come un fabbro: «Peggio della sinistra dei salotti c’è quella dei divani, quella che ti dice ’domani sì adesso no’». Alla segretaria Cgil, che sul manifesto aveva parlato di «referendum preparati su due piedi» replica: «C’è chi mi riceve nel suo ufficio e poi dice di non saperne niente». Sabato scorso l’ex Pd ha aperto un nuovo fronte con i suoi futuri possibili alleati. A Cagliari , ospite dei ragazzi e delle ragazze di ’Ci siamo’, prima ha drammatizzato la sfida delle firme: «Se non riesco a raccoglierle cambio mestiere». Poi, dalle colonne dell’Unione Sarda, ha consigliato «i compagni di Sel» di dimenticare le giunte di coalizione: «Zedda ha la maturità per decidere: chiaro che se è il candidato del Pd dovremo aprire una riflessione seria sul nostro sostegno».
Proprio a Cagliari infatti il sindaco Massimo Zedda (Sel) veleggia verso la riconferma da parte di tutto il centrosinistra. Le parole di Civati non sono andate giù ai vendoliani sardi. I quali, pur impegnati in ruvido dibattito interno fra ’scioglimento sì-scioglimento no’ del partito in vista della ’cosa rossa’, a lui hanno replicato come un sol uomo: «Civati non vota in Sardegna e non vota a Cagliari. Sostenga chi vuole nel suo territorio, noi non stavamo aspettando lui per dirci cosa dobbiamo fare», dichiarano all’unisono il senatore Uras e il deputato Piras, divisi sulla sorte di Sel ma uniti su quella di Zedda. L’ex pd controreplica dal blog: «Se dichiariamo che il centrosinistra non esiste più perché dobbiamo insistere nel realizzarlo?».

La questione delle amministrative non è certo solo sarda. A Milano, per esempio, i fronti si scompongono: per il dopo Pisapia un pezzo di Sel è orientato a votare alle primarie Pierfrancesco Majorino,il civatiano che non ha seguito il leader fuori dal Pd; un altro pezzo vuole lanciare un candidato di sinistra sul modello delle regionali liguri. Ma il cannoneggiamento preventivo civatiano rischia di far tornare alla casella di partenza tutti, anche quelli che non vedono l’ora di sciogliere i partiti esistenti per fare una nuova organizzazione. Con il rischio che per i promessi alleati il matrimonio d’ottobre torni in forse.