Un conflitto che pareva ormai segnato in favore di Kiev, si è riaperto in questi giorni, a causa dell’azione militare dei ribelli nelle zone meridionali dell’est ucraino. Una manovra che da alcuni giorni ha aperto un nuovo fronte, a Novoazovsk sulle sponde del Mar Azov, a pochi chilometri da Mariupol. L’intento dei filorussi potrebbe essere quello di mirare a collegare l’enclave nel Donbass – ancora controllata dai ribelli – alla Crimea. In quel caso si verrebbe a creare una striscia di territorio completamente a disposizione anche delle truppe russe. Quest’ultime, secondo Kiev, sarebbero già entrate nella cittadina conquistata; un’ipotesi smentita da Mosca.

L’evento e la sua logica militare, hanno dato uno scossone al conflitto, riportando i ribelli in una posizione di forza, simbolicamente rappresentata dal vuoto del potere parlamentare e dalle proteste che a Kiev – di fronte al ministero della Difesa – cominciano a manifestare l’insofferenza verso una guerra, che ormai appare di difficile conclusione. Ieri Kiev ha urlato all’invasione, per l’ennesima volta, usando la terminologia di «invasione non dissimulata». Truppe vere, quindi, non volontari o parafascisti russi esaltati dall’ipotesi di una guerra nazionalista contro Kiev. Poroshenko ha convocato un consiglio di sicurezza, rinunciando ad un viaggio di Stato in Turchia e ha chiesto all’ Unione europea un aiuto «tecnico e militare». Che le cose siano cambiate e che ora Kiev manifesti più apertamente una fragilità, al contrario della spavalderia venduta all’opinione pubblica fino ad oggi da parte di Poroshenko, lo ha confermato l’ambasciatore ucraino presso la Ue, Konstiantyn Elisseiev.

«Chiediamo una sessione straordinaria del Consiglio europeo il 30 agosto sull’Ucraina – ha scritto sul suo profilo Facebook – basta con la connivenza e la rassicurazione dell’aggressore. La solidarietà si deve materializzare attraverso sanzioni significative e un aiuto militare e tecnico esteso», ha ammonito. La Ue, via Ashton, si è per ora detta «preoccupata» e poco di più, mentre sull’argomento è intervenuto anche il premier italiano Matteo Renzi. Il primo ministro avrebbe sentito telefonicamente Putin e in qualità di rappresentante del paese che guida il semestre europeo, ha denunciato «l’escalation intollerabile».

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(Nella foto l’immagine dal satellite rilasciata ieri dalla Nato)

Poroshenko, il presidente ucraino, nei giorni scorsi aveva dimostrato ottimismo e fiducia. La sua decisione di sciogliere il parlamento e indire elezioni per il 26 ottobre, lasciava presagire una visione ottimistica del prossimo futuro, specie in relazione al conflitto. Ma la guerra è ancora lunga, come dimostrato dal «campo». Il presidente ucraino ha fatto anche appello all’Onu, chiedendo una riunione d’urgenza del consiglio di sicurezza. Nella serata di ieri le Nazioni unite hanno accolto la richiesta, come specificato dall’ambasciatore britannico presso l’Onu Marc Lyall Grant.

A dare manforte a Kiev ha pensato, nel frattempo, la Nato. Ieri l’Alleanza ha pubblicato le foto satellitari scattate alcuni giorni fa, che dimostrerebbero un movimento d’artiglieria da parte dei russi nella zone orientali dell’Ucraina. Secondo Nato e Kiev sarebbero migliaia i soldati russi in Ucraina, mentre ieri uno dei comandanti dei ribelli dell’est avrebbe ammesso la partecipazione di volontari russi.

«Mente i separatisti si trovano sempre più sotto pressione, vediamo un netto aumento delle attività da parte della Russia», ha spiegato un funzionario Nato. Senza contare – ha aggiunto – la presenza di circa 20mila militari russi al confine. A fronte dell’«invasione» Yulia Tymoshenko, rediviva, ha chiesto l’istituzione della legge marziale, ipotesi a cui pare stiano pensando a Kiev. E nella capitale si è rifatto vivo lo spirito della Majdan, ma questa volta in funzione contraria al governo nato proprio dalle proteste di piazza: si chiede di salvare il paese da un baratro economico, dall’aumento dei prezzi, dai problemi e la carenza di medicinali e cure negli ospedali.

Kiev ha tentato di chiudere il conflitto finanziando le operazioni con i soldi pubblici, a scapito di una ripresa economica sempre più distante. E davanti al ministero della Difesa, molti familiari dei soldati al fronte, hanno protestato per chiedere di mandare armi pesanti ai soldati ucraini da sei giorni bloccati e circondati dalle forze ribelli vicino ad Ilovaisk, nella regione di Donetsk. Alcuni manifestanti chiedono anche le dimissioni del ministro della Difesa Valeri Heletei, come riferito dal canale televisivo ucraino Hromadske. Heletei è il terzo ministro della Difesa in Ucraina da fine febbraio

E ancora una volta, la crisi politica di Kiev è stata sfruttata abilmente da Putin. Di sicuro Mosca ha aiutato i ribelli, con armamenti e «tenici» – con le stesse funzioni dei «tecnici» inviati dagli Stati uniti a Kiev, compresi i vertici della Cia, fin dai primi giorni delle proteste contro l’ex presidente Yanukovich – e presumibilmente «volontari».
Di sicuro, Putin ha saputo logorare Kiev, con un conflitto che ormai appare interminabile. E la posta in gioco, sponda Mosca, potrebbe non essere la conquista di un territorio (sebbene si tratti della parte più produttiva, industriale ed avanzata del paese), quanto la persistenza di una situazione di confusione, capace di allontanare l’Ucraina dalla Nato e consentire a Putin di gestirsi al meglio il ricatto energetico nei confronti dell’Europa. Le sue spalle, del resto, sono coperte dall’accordo trentennale con la Cina, una garanzia per i prossimi anni, capace di creare una sorta di alleanza, che seppure con molti dubbi, ad ora funziona.

Ieri Mosca, in una guerra che è sempre più propagandistica, ha risposto alle accuse di Kiev e della Nato, con le parole di Andrey Kelin, il rappresentante russo dell’Osce. Secondo Kelin, «nessun coinvolgimento russo è stato avvistato, non ci sono soldati o attrezzature presenti». Mosca, con il sarcasmo dei forti, in questo caso, ha infine ribadito che in effetti dei soldati russi in Ucraina ci sono: sono quelli arrestati da Kiev, alcuni giorni fa, e mostrati in televisione.