Si è rifatto vivo, con il quarto discorso audio, Hamza bin Laden, figlio di Osama, successore di fatto dell’emiro di al Qaeda Ayman Zawahry. Il messaggio, con riferimenti a un rinnovato jihad contro gli infedeli, punta a recuperare i consensi perduti negli ultimi due-tre anni dall’organizzazione, approfittando anche del “fallimento” del nuovo Califfato teorizzato e solo in minima parte realizzato dagli scissionisti dell’Isis. È interessante notare come alcuni dei temi trattati dal giovane bin Laden siano uguali a quelli del padre. A cominciare dall’esortazione a liberare il Paese dalla famiglia degli al Saud. Hamza, come Osama, non mette in discussione il wahhabismo e la sua alleanza organica con la casa regnante. Il giovane bin Laden attacca i Saud perchè permette agli infedeli Usa di mettere piede sul suolo sacro dove hanno visto la luce Maometto e l’Islam e che ospita le moschee sacre di Mecca e Medina.

È improbabile che re Salman assegni un peso eccessivo a queste nuove minacce di al Qaeda, simili a quelle di venti o di dieci anni fa. Le sue preoccupazioni più urgenti sono altre. La sua strategia di attacco politico, diplomatico e militare (indiretto) all’Iran sta naufragando di fronte alla impossibilità di far crollare il presidente siriano Bashar Assad (sostenuto da Tehran) e alle enormi difficoltà che la Coalizione sunnita affronta in Yemen. I ribelli sciiti Houthi che lottano contro il governo yemenita riconosciuto da Riyadh, dimostrano una straordinaria resistenza agli attacchi aerei sauditi che, peraltro, hanno causato negli ultimi quattro mesi la morte di 272 civili e il ferimento di altri 543 (dati Onu). I guerriglieri, sostenuti dall’Iran e appoggiati dai miliziani agli ordini dell’ex presidente Saleh, sono stati in grado di portare la guerra all’ingresso meridionale dell’Arabia saudita, causando perdite significative tra i soldati e i civili. Riyadh ha sempre più bisogno dell’Amministrazione Usa che tanto ha criticato, per rifornire le sue forze armate di armi, carri armati e aerei e continuare una guerra che, dopo il collasso dei negoziati di pace in Kuwait, si sta rivelando il Vietnam dell’Arabia saudita.

Il premier Nobel per la pace e presidente Usa Barack Obama passerà alla storia anche per aver venduto ai sauditi armi per 110 miliardi di dollari nel silenzio-assenso del Congresso. Quei miliardi, uniti a quelli spesi dalle altre petromonarchie del Golfo, hanno dato ossigeno puro alle industrie militari statunitensi e, in definitiva, all’intera economia americana. Pecunia non olet. Solo i senatori Chris Murphy e Rand Paul hanno chiesto un maggiore controllo sulle armi destinate alla Casa dei Saud. D’altronde Riyadh è stata la prima capitale araba che Obama ha visitato. Il presidente Usa è stato in Arabia Saudita più di qualsiasi altro paese del Medio Oriente, compreso Israele. La relazione tra le due parti è stata spesso difficile ma redditizia per Washington. Pecunia non olet.

L’ultima importante vendita (oltre un miliardo di dollari) riguarda 153 carri armati M1A2 Abrams, 20 veicoli per il recupero dei mezzi blindati oltre a munizioni ed equipaggiamento per le truppe. Importante perchè permette ai sauditi di sostituire i tank distrutti o danneggiati gravemente nei combattimenti sempre più frequenti ed intensi che si svolgono lungo in confine con lo Yemen. I guerriglieri Houthi hanno diffuso filmati che mostrano attacchi con razzi – probabilmente ricevuti dall’Iran – a carri armati e altri obiettivi sauditi. Hanno anche colpito villaggi all’interno del regno, alcuni dei quali sono stati evacuati. La milizia fedele all’ex presidente Ali Abdullah Saleh da parte sua ha lanciato missili Scud contro basi aeree saudite e altri obiettivi. E i sauditi hanno dovuto impiegare i costosi Patriot per intercettarli.

Il sogno di re Salman della guerra lampo si sta gradualmente trasformando in un incubo, anche dal punto di vista economico. Il mese scorso il Gran Mufti e principale esponente religioso del regno Abdul Aziz a-Sheikh ha invitato aziende private, banche e imprese a donare fondi per contribuire a sostenere le famiglie dei soldati uccisi in guerra e garantire ai bambini dei “martiri” l’insegnamento gratuito. Ha anche fatto appello per donazioni in aiuto delle città di confine sotto attacco. Re Salman per coprire i costi di un pantano che si prevede a tempo indeterminato ha ordinato l’aumento della produzione giornaliera di petrolio fino a sfiorare la soglia di 11 milioni di barili. Un record che arriva a poche settimane dall’inizio del vertice dei Paesi Opec e non Opec convocato proprio per discutere della riduzione della produzione in modo da favorire la risalita del prezzo del greggio che lo scorso gennaio era sceso fino a 27 dollari.