Tutti, certo, contro l’Unione europea: «Non rispetta i parametri di Maastricht. Se ha dato tre giorni a Tsipras lo faccia anche con i tedeschi» (Scotto, Sel). «Dopo aver distrutto l’economia greca, ha ricattato il governo greco per ottenere l’accordo, si comportano come i nazisti» (Ferrero, Prc). Certo, da tutti massimo rispetto per Tsipras: «Stima e appoggio umano, morale e politico a lui, a Syriza e al popolo greco dilaniati da una discussione impossibile e da una partita truccata in partenza» (Fratoianni, Sel).

Ma che farebbe la sinistra italiana, quella che in questi mesi lavora a una nuova ’cosa rossa’, se per fortuna si trovasse tutta insieme in parlamento ma per sfortuna dovesse votare il memorandum riportato a casa da Bruxelles da Alexis Tsipras, fin qui mito vivente, nume tutelare, divinità olimpica dei greci di casa nostra, a cui hanno pure intestato la lista delle Europee, e in nome del quale hanno accarezzato l’idea di «fare come in Grecia», almeno fino alla batosta di ieri mattina?

Chi nicchia, chi non risponde, chi come Nicola Fratoianni ammette «veramente non so come voterei». Chi spiega che il problema è «un altro»: appunto l’Ue, l’euro, la Germania, la socialdemocrazia. Solo una settimana fa tutti facevano a gara per intestarsi l’amicizia del leader greco vincitore al referendum per il no. Oggi a rispondere chiaro sono pochi. Come Stefano Fassina: «Io all’accordo voterei no. Se volevo votare sì alle politiche dell’austerità non lasciavo il Pd. Non ho criticato Renzi per applaudire a Tsipras che fa le stesse cose». Certo, «tanta solidarietà umana ad Alexis», ma «l’accordo è insostenibile. Umiliante: lo dice Vincenzo Visco, lo scrive Wolfang Munchau sul Financial Times». Segue ragionamento: aggrava le condizioni della Grecia, produce gli stessi effetti dei memorandum precedenti. Dunque la sinistra italiana molla Tsipras? Ancora Fassina: «La sinistra italiana deve prendere atto che nella gabbia liberista dell’euro non vi sono spazi di manovra». Nessuna possibilità di riforma dell’euro dall’interno? «Siamo a un passaggio storico. Dalla lezione greca, cioè dalla nostra sconfitta, dobbiamo rifondare una sinistra, se siamo capaci. L’euro va smontato, poi nel caso rimontato. Oggi l’evidenza è che in Europa non ci sono le condizioni democratiche, storiche, culturali e politiche per fare le correzioni necessarie. Se Merkel avesse concesso di più alla Grecia il suo parlamento non l’avrebbe approvato. E il popolo tedesco va rispettato come quello greco. Dicendo che la Merkel è stronza non andiamo da nessuna parte».

Non la pensano tutti così. L’Altra Europa per Tsipras ha indetto «la settimana della vergogna europea» che consiste in «manifestazioni davanti ai simboli delle forze del caos e dell’arroganza». Neanche a dirlo, si parte oggi a mezzogiorno a Roma davanti alla sede della Deutsche Bank di Largo Argentina.

A sinistra la botta è forte e produce inaspettati paradossi. Paolo Ferrero, segretario comunista del Prc, parla con rabbia: «L’accordo è peggio che pessimo, frutto dei rapporti di forza di un negoziato di un paese solo contro tutti. Il mio disprezzo va a tutti questi leader codardi, conservatori e socialdemocratici, che non hanno aperto bocca mentre chi trattava si comportava come un nazista. Ma se fossi nel parlamento di Atene voterei sì. Perché Syriza non deve andare a casa, perché la battaglia non è finita, perché nella Grecia possiamo avere un terreno di lotta più avanzato degli altri paesi».

D’accordo con lui Pippo Civati: in Italia è un abitué del no alle politiche dell’austerità renziana. Ad Atene invece stavolta voterebbe sì, «anzi, ’Tsi’: segnalo che non si può stare con Tsipras e contro di lui. Non si può dire ’ viva Tsipras ma speriamo che sia bocciato in parlamento’. Quello che è mancato non è il premier greco, ma tutti gli altri. Ma un’Europa così non va lontano: così non si sbloccherà proprio niente, né per la Grecia né per gli altri. E limitarsi a dire che non è un derby non aiuta molto». Ce l’ha con un nuovo tweet di Renzi, «non è un derby Tsipras-Merkel, la Grecia deve fare le riforme». Sì, contro Renzi la sinistra è unita. Ma da ieri non basta più. E il dubbio di Fassina è di quelli che non perdonano: «Ma perché dovrei dire no al jobs act italiano e dire sì a quello greco?».