«Usciamo da questo conflitto sfiniti e ammaccati ma a testa alta, con la convinzione di aver tentato di difendere il nostro onore». Così si è espressa ieri a metà giornata la redazione di i-Télé, che ha votato la ripresa del lavoro dopo uno sciopero di 31 giorni, iniziato il 17 ottobre e votato quotidianamente con percentuali superiori all’80% dei dipendenti. Si tratta del più lungo sciopero in un media francese dal ’68.

La redazione di i-Télé, rete di informazione continua, filiale di Canal+, gruppo dal 2015 di proprietà del tycoon Vincent Bolloré, ha lottato per «l’indipendenza editoriale, in difesa dell’onestà dell’informazione». E ha perso: praticamente nessuna delle richieste di fondo è stata accolta dalla direzione e dalla proprietà, anche se grazie a una nuova legge sulla stampa (peraltro controversa), la loi Bloche, tra qualche mese la tv dovrà adottare una «carta etica».

Ieri, la direzione non ha precisato quando potrà riprendere la diretta. Un terzo della redazione ha già dato le dimissioni e non sarà facile ricomporre la struttura, che, del resto, per la direzione, ormai dovrà concentrarsi soprattutto sullo sport e sul cinema (aree di interesse di Canal+), nell’inedita veste che gli verrà data con il nuovo nome: C-Télé, che avrebbe dovuto già essere adottato a fine ottobre, un cambiamento rimandato a causa dello sciopero. In Francia esistono quattro reti di informazione continua, 24 ore su 24: oltre a i-Télé, nata nel ’99 e passata di mano fino a finire sotto il controllo di Bolloré, ci sono Lci (di Tf1, proprietà Bouygues), BfmTv (ora nell’impero dell’affarista Patrick Drahi) e da poco FranceTvInfo, pubblica.

La goccia che ha fatto esplodere la protesta a i-Télé è stata prodotta dall’annuncio, a metà ottobre, dell’arrivo sulla rete di un controverso animatore tv, Jean-Marc Morandini, sotto inchiesta giudiziaria con l’accusa di corruzione di minorenni (denunciato per comportamenti sospetti su giovani ragazzi durante i provini per una trasmissione di intrattenimento su un’altra televisione). Ma il malumore interno covava da tempo. Era esploso con la nomina di Serge Nadjar nella doppia carica di direttore e capo-redattore: questo personaggio si era distinto nel chiedere alla redazione di essere «gentile» con gli inserzionisti pubblicitari, amici del padrone. Nadjar, ex direttore del quotidiano gratuito Direct Matin, è difatti la longa manus di Bolloré. Più che di giornalismo si è occupato di pubblicità, sempre pronto a intervenire sui contenuti e a bloccare inchieste e informazioni passibili di interferire con gli interessi della proprietà e dei suoi amici. Il compito di Nadjar è di limitare il passivo di i-Téle, che quest’anno dovrebbe toccare i 25 milioni di euro. A giugno, aveva già spinto alle dimissioni una cinquantina di redattori e aveva provocato già un primo sciopero, di 4 giorni. La redazione ha chiesto di separare le cariche di direttore e capo-redattore e di nominare un’altra personalità accanto a Nadjar. Ma la proprietà ha rifiutato. Adesso la redazione è devastata, molti giornalisti che avevano cariche di responsabilità hanno dato le dimissioni, mentre sono rimasti soprattutto i più giovani, quelli che iniziano la carriera, con contratti precari.

Il governo ha tardato molto a reagire e lo ha fatto con estrema discrezione. Il primo ministro, Manuel Valls, se ne è lavato le mani, dicendo che il conflitto riguarda «un gruppo privato». La ministra del Lavoro, Myriam El Khomri, ha aspettato tre settimane prima di ricevere una rappresentanza della redazione di i-Télé. La ministra della Cultura, Audrey Azoulay, ha preso una posizione ancora più defilata. Il governo, cioè, non è stato per nulla sensibile alla protesta per difendere la libertà di stampa. A qualche mese dalle elezioni (presidenziali e legislative) devono aver pensato che è meglio non inimicarsi un padrone dei media del calibro di Bolloré.