Ormai ad ogni temporale un po’ più deciso si rischia il disastro; e non solo nelle situazioni come Genova in cui l’idiozia urbanistica ha negato l’assetto ecomorfologico, ma dappertutto, in quel che resta del Belpaese.

Il combinato tra surplus di energia e entropia atmosferica da mutazione climatica e sfascio del territorio da ipercementificazione generalizzata si rivela micidiale.

Il primo dato che emerge è la forte intensificazione del consumo di suolo; raddoppiato nell’ultimo ventennio. Il contraltare di ciò – che significa distruzione di ecosistemi e assetti idrogeologici e quindi dissesti, oltre che perdita di paesaggio- è costituito dall’abnorme quota di volumi vuoti – non solo residenziali – che sono stati realizzati nelle città e nei paesi italiani.

L’Istat che ha ormai concluso l’elaborazione dei dati del censimento 2011 mostra che siamo di fronte a un patrimonio inutilizzato di svariati milioni di stanze e di quasi 20 miliardi di metri cubi per volumetrie.

Gli appartamenti inutilizzati sono più di 7 milioni: in attesa del dato esatto relativo ai vani, infatti, ipotizzando un’ampiezza media di 2,8 stanze per appartamento, si rivelano tendenzialmente esatte le stime degli osservatori legati al Forum Salviamo il Paesaggio (circa 20 milioni).

Un “salto” significativo

L’aumento di vuoto nel decennio è stato pari al 350%. Riferendosi ai dati del censimento 2001, qualche anno fa la Fillea-Cgil, infatti, sosteneva «in Italia abbiamo oltre 2 milioni di abitazioni vuote, solo a Roma sono circa l’8% dell’intero patrimonio abitativo, 82.812 immobili». Tuttavia più che il dato appariva già consistente e significativo il “salto” di ordine di grandezza.

«Il numero di stanze per abitante è nel nostro paese tra i più elevati. Pur tuttavia l’accesso alla casa rimane un problema di non facile soluzione perlomeno per i giovani e per gli immigrati in ambiente urbano. Il paradosso è che le nostre città pur essendo – se si eccettuano i qualificati centri storici e qualche isola di buona edilizia degli anni ’50 e ’60 – un enorme ammasso di case più che uno spazio urbano non sono in grado di dare risposta alla domande di case a buon mercato (e non necessariamente a canone sociale)» – sottolineavano gli urbanisti del politecnico di Milano Arturo Lanzani e Gabriele Pasqui, nel 2011.

I numeri sono clamorosi

I dati conclusivi forniti oggi dall’Istat, riferiti al censimento ultimo sono clamorosi: oggi il numero degli edifici presenti sul territorio nazionale è pari a circa 14,5 milioni per poco più di 31 milioni di appartamenti residenziali. In attesa di avere il dato netto circa le volumetrie e le stanze, appare accettabile la stima – assai prudenziale – di almeno 18 miliardi di mc edificati, di cui 15,5 mld (84,3%) di metri cubi residenziali; laddove il fabbisogno nazionale aggregato è di 6,2 mld di mc (siamo 62 milioni di persone, includendo una stima molto largheggiante anche degli immigrati non censiti).

Le Regioni meridionali esasperano il quadro nazionale: la Campania presenta circa 1 milione di edifici, di cui 65.000 vuoti e inutilizzati per una popolazione di 5.760.000 abitanti, la Puglia rispettivamente 1.100.000 e 54.200 per 4 milioni ca di abitanti, la Basilicata 117.000 e 11.700 per 580.000 abitanti, la Sicilia 1.722.000 e 132.000 per circa 5 milioni di abitanti, la Calabria 750.000 e 90.000 (1.250.000 e 420.000 alloggi) per poco meno di 2 milioni di abitanti (il 40% del patrimonio residenziale è vuoto e in molti paesi dell’interno ormai esistono più case che abitanti !); la Sardegna risente della cogenza del Piano Paesaggistico, recentissimamente ripristinata, e presenta “solo” 570.000 edifici, di cui 70.000 vuoti o inutilizzati, per 1.640.000 abitanti.

Il dato relativo agli appartamenti vuoti – o scarsamente utilizzati- è strabiliante: quasi un alloggio su quattro è vuoto, con una ”punta” presentata ancora dalla Calabria con una quota pari al 40%; seguono Sicilia e Sardegna con circa il 30% del patrimonio abitativo inutilizzato, ancora in Piemonte 1 alloggio su 4 è vuoto, laddove in Veneto e Toscana il rapporto è di uno su cinque circa poco meno del Lazio (22%) e poco più della Lombardia (16%).

40 mila stanze di troppo

Per quanto riguarda le città, anche in attesa del dato finale , si possono considerare consistenti le proiezioni parziali, che presentano quote di vani vuoti superiori a 100.000 a Torino, Milano e Roma, poco meno a Napoli, decine di migliaia nelle città di Venezia , Padova, Bologna, Firenze e Genova. In diverse città del sud il numero dei vani costruiti supera quello degli abitanti (ancora in Calabria, a Reggio, il “top” con 40.000 stanze in più dei residenti!), in molte aree interne, non solo meridionali, gli edifici sono più degli abitanti.

Emerge una considerazione: solo fino a venti anni fa il dato forse più significativo era il rapporto abitanti/stanze; con il censimento 2001, per l’emergere della “cascata di case”, oltre alla rilevanza di aspetti più sociologici, quale la tendenziale forte crescita delle famiglie mononucleari, è apparso consistente parlare in termini di abitante/appartamento. Oggi diventa significativo e iconico il rapporto abitante/edificio.
In Piemonte abbiamo poco più di 3 abitanti per edificio, in Lombardia poco meno di 5, in Toscana poco più di 4, nel Lazio all’incirca 5.
Nelle regioni meridionali abbiamo addirittura meno di 3 abitanti per edificio in Sardegna e in Sicilia, 2,5 in Calabria (!), 5 in Campania, 3,2 in Basilicata, poco meno di 4 in Puglia, che è in linea con il dato medio nazionale.

Una rendita sempre più finanziaria

Ci siamo chiesti a lungo perché nel nostro paese si continuasse a costruire, a dispetto del declino demografico (la quota di immigrazione appare tuttora relativa) e socioeconomico.

La spiegazione è stata fornita dagli studiosi di marketing immobiliare: da tempo non si costruisce più per la domanda sociale (che infatti – nonostante tutto il patrimonio vuoto citato – resta in parte inevasa): la rendita fondiaria, poi immobiliare si è trasformata sempre più in finanziaria. I «nuovi vani» dovevano costituire le «basi concrete» per «costruzioni virtuali» di fondi d’investimento o risparmio gestito. A parte la quota di edificato – «lavanderia», ovvero finalizzata al riciclaggio di capitale illegale, facilmente intrecciata al primo.

La schizofrenia delle politiche urbanistiche delle ultime fasi ha largamente favorito tutto ciò, con accelerazioni da parte del presente governo.
A parte i goffi tentativi di reinterpretare i dissesti da sfascio come «inefficienza burocratica per mancata realizzazione di opere» e strumentalizzare anche i disastri per seguitare a sfasciare il territorio, le politiche di tutela e attenzione all’ambiente e al paesaggio sono solo dichiarate: in realtà si tenta di continuare ad aggirarle per realizzare nuove “Grandi opere inutili” e cementificazioni; come dimostrano lo «Sblocca Italia» e il ddl Lupi, da cancellare subito. Laddove ciò che è necessario è costituito dal recupero dell’enorme patrimonio, degradato e inutilizzato (con opportuni strumenti di accesso anche al patrimonio privato e equi prelievi fiscali, soprattutto sul vuoto, gran parte del quale è oggi esentasse perché «bene destinato alla vendita»).

Una politica che integri anche l’altra emergenza assoluta rappresentata dal risanamento del territorio nazionale; per cui servono 50 miliardi di euro: altro che i tre dichiarati – a fronte dei 200 milioni scarsi realmente disponibili – da Renzi.