Il primo appuntamento di Bernie Sanders dopo la vittoria in New Hampshire è stato con il reverendo Al Sharpton, a New York, la mattina successiva il voto.

Questo appuntamento spiega molto delle intenzioni di Sanders e di dove si sia ora spostata la lotta interna tra i due candidati democratici, che è quella per il voto degli afroamericani, elemento decisivo per vincere queste primarie e per scegliere il prossimo presidente alla vera sfida di novembre.

Sanders, che rappresenta in senato lo stato a maggioranza bianca del Vermont, deve ancora dimostrare di avere la capacità di convincere gli elettori delle minoranze e nei prossimi due stati chiamati a votare, Nevada e Carolina del Sud, vive un gran numero di latinos e di afroamericani, il che significa che lí non avrà più il lusso di fare appello alla propria base di liberal bianchi ma dovrà portare dalla sua parte una nuova «fetta» di elettorato.

«Quando l’affluenza alle urne è alta – ha detto Sanders durante il discorso dopo la vittoria – i progressisti vincono, quando è bassa le elezioni sono vinte dai repubblicani».

Il senatore del Vermont è consapevole dell’importanza dei nuovi voti e di quanto ora inizi la sua vera campagna elettorale, e non a caso la sta cominciando esattamente come Obama, anche il ristorante dove ha fatto colazione con Sharpton, Sylvie, ad Harlem, è lo stesso usato da Obama durante le sue primarie contro Clinton nel 2008.

Il reverendo Sharpton ha avuto un ruolo fondamentale nell’ascesa di Obama, di cui ora è consigliere per le tematiche razziali, e si può definire come il rappresentante dell’establishment del movimento dei diritti civili.

Sharpton è una figura complessa che si potrebbe anche definire un oppositore organico al sistema, è sulla scena dagli anni ’70 ed è legato a una modalità di lotta che approva ogni tipo di compromesso o di colpo basso pur di portare a compimento una battaglia di uguaglianza che è sacrosanta: non è una figura cristallina ma una figura chiave.

«L’ostacolo principale che abbiamo con la comunità degli elettori di minoranza, afro-americani e latinos, è che semplicemente non conoscono Bernie – ha dichiarato Ted Devine, il capo stratega della campagna elettorale di Sanders dopo la vittoria di martedì – quando conosceranno la sua storia, cominceranno a vedere il suo messaggio e ciò che egli rappresenta, lì cambierà tutto. La storia di Sanders è quella di un ragazzo nato povero e che già da studente presso l’Università di Chicago ha basato tutta la sua vita sulla lotta per i diritti civili; la sua lotta contro le disuguaglianze e l’ingiustizia economica è molto, molto potente, e sta andando a risuonare con quella della comunità afro-americana».

In effetti la nuova battaglia di questa comunità, rappresentata dal movimento di Black Lives Matter (BLM), ha ben chiare due cose: che le diseguaglianze sociali ed economiche sono parte dello stesso problema e che in questo momento storico l’apporto dei bianchi è utile e necessario.

«Dovete usare i vostri privilegi – spiega Deray, la figura più conosciuta di BLM, a chi gli chiede come i bianchi possono partecipare alle lotte per i diritti dei neri – i privilegi bianchi che indubbiamente esistono e che, vedete, possono essere usati per fare e dire cose che noi non possiamo».

In quest’ottica il «bianchissimo» e «socialista» Sanders può diventare il candidato ideale.

I suoi esordi con BLM non sono però stati certo rosei; all’inizio della sua campagna, mesi fa, uno dei suoi comizi è stato interrotto da una contestazione del movimento che gli rimproverava una colpevole indifferenza nei confronti dei loro problemi. La risposta di Sanders è stata quella di mettersi all’ascolto e di organizzare, anche con Clinton in verità, delle tavole rotonde dove i candidati partecipavano per capire meglio le istanze della nuova generazione afroamericana.

Una volta chiariti i punti chiave, BLM ha fornito una vera e propria consulenza su come rivolgersi all’elettorato nero e per far arrivare anche lì il proprio messaggio.

L’incontro con Sharpton è un ulteriore passo nella direzione di un bacino di voti che si è sentito rappresentato da Obama per otto anni e ora non vuole tornare indietro.

Se Sanders saprà raggiungere questo elettorato e avrà abbastanza voti in Nevada il 20 Febbraio e in South Carolina il 27, quella parte di partito che fin dall’inizio l’ha respinto come un fastidioso prurito dovrà fare i conti con un problema reale e temibile.