La prossima settimana sarà fondamentale per i destini europei. Il 22 il direttivo della Bce dovrà decidere modalità e tempi del tanto promesso Quantitative Easing (QE), mentre il 25 si svolgeranno le fatidiche elezioni greche.

Su cosa farà la Bce girano molte voci, ma tanto per prepararci alle decisioni effettive proviamo a chiarirci cos’è il QE.

Dal 2008 la Bce ha reso disponibile alle banche tutta la liquidità che richiedevano. E ne hanno richiesta molta, in particolare nel 2011 e 2012.

In quegli anni le banche italiane e spagnole hanno impiegato centinaia di miliardi di euro per acquistare i titoli sovrani dei rispettivi Paesi, consentendo agli investitori dei paesi nordici di rimpatriare i propri capitali evitando il default degli stati periferici.

Nel marzo 2012 il bilancio della Bce raggiunse la cifra di 3 trilioni di euro a cui Draghi dice di voler ora tornare. Infatti, dopo le sue famose dichiarazioni di fine luglio 2012 e il successivo impegno della Bce di sostenere i titoli di stato (subordinato all’accettazione della Troika) i capitali stranieri sono tornati sui titoli di stato periferici e le banche hanno restituito la liquidità alla Bce il cui bilancio si è perciò sgonfiato a 2 trilioni.

Si noti che la liquidità creata non ha in alcun modo stimolato il credito a imprese e famiglie, credito stretto nella tenaglia di banche recalcitranti a concederlo e soggetti restii a richiederlo visti i chiari di luna della crisi.

L’austerità che pervicacemente la Germania ha imposto e gli altri hanno miserevolmente accettato ha nel frattempo devastato le economie della periferia europea, e pochi si azzardano ora a promettere una ripresa seria in tempi ragionevoli. Le speranze di una resipiscenza europea in una direzione solidale e keynesiana cominciano finalmente ad apparire come illusorie – visto che non ce ne sono mai state le basi storico-politiche – anche a coloro che le hanno tenacemente coltivate.

In questo quadro desolante il QE di Draghi appare come l’ultimo appiglio, fondato su poco, come vedremo.

Questa volta alla creazione di liquidità da parte della Bce sarebbe assegnato il compito nientemeno che di rilanciare la domanda aggregata e dare avvio all’agognata ripresa.

Con il QE la banca centrale acquista sul mercato titoli, principalmente di stato, immettendo liquidità nel sistema (Draghi ha alluso a un 1 trilione di euro, ora si parla di 500 miliardi, staremo a vedere).

Con quale scopo?

La domanda di titoli da parte della Bce, e l’impiego della liquidità da parte di chi glieli vende per acquistare altri titoli, genererebbe un aumento dei valori borsistici e una diminuzione dei tassi di interesse nel mercato (valore dei titoli e tassi di interesse sono in una relazione inversa). Da questi primi effetti ne dovrebbero scaturire diversi altri, positivi, sulla domanda aggregata.

1) La maggiore liquidità dovrebbe stimolare il credito, ma già s’è visto negli scorsi anni che maggiore liquidità non genera credito addizionale.
2) L’ aumento del valore dei titoli a lungo termine potrebbe stimolare gli investimenti. Ma non si vede per quali ragioni le imprese dovrebbero investire con aspettative di domanda a dir poco depresse.
3) La bolla borsistica potrebbe stimolare i consumi, basti trascurare il fatto che le famiglie che detengono titoli sono poche e hanno una bassa propensione al consumo.
4) Con grande dispiego di fantasia gli organi di informazione, incluso il Sole, ci stanno vendendo l’idea che il QE determini aspettative di inflazione nel pubblico (l’idea che più moneta generi più inflazione è in fondo uno dei luoghi comuni più radicati ) e ciò stimoli consumi e investimenti. Che una ripresa della domanda aggregata si possa basare sul suscitare aspettative di inflazione è vendere fumo, l’arrosto non c’è.

Sin qui il QE non rappresenterebbe altro che un facite ammuina, ridicolo quanto il piano Juncker, misure utili solo acché Renzi possa ammaliare il pubblico dei talk show. Rimangono due altri possibili effetti del QE.

5) Il primo è il deprezzamento dell’euro: la liquidità si rivolgerà infatti anche verso titoli esteri determinando un apprezzamento delle divise straniere e un guadagno di competitività europeo. Nel caso dell’Eurozona, che già presenta un enorme surplus commerciale verso il resto del mondo, questo suonerebbe però come un comportamento inaccettabile.

6) Infine, l’acquisto di titoli pubblici da parte della Bce può rappresentare la messa in sicurezza di una quota di debiti sovrani in continuo peggioramento a causa dell’austerità e la cui sostenibilità è insidiata dal possibile venir meno della fiducia degli investitori come accaduto nel 2011 e 2012 (sotto l’effetto degli accadimenti in Grecia e comunque a fronte dell’insostenibilità economica e sociale della situazione).

[do action=”citazione”]Il QE non sarebbe altro che una ripetizione con altre modalità delle misure tampone intraprese negli scorsi anni[/do]

Ma allora il QE non sarebbe altro che una ripetizione con altre modalità delle misure tampone intraprese negli scorsi anni e si può ben concludere che il suo senso, persino se effettuato senza i probabili paletti tedeschi, non vada oltre il procrastinare della nostra agonia.

Diverso il caso in cui un acquisto massiccio di titoli pubblici accompagnasse una politica fiscale fortemente espansiva, allora sì che il QE avrebbe effetti sulla domanda aggregata. Ma questo non accadrà.

Da ultimo, il bluff del QE sarà smascherato, ma a costo di ulteriori mesi di inutili sacrifici per le popolazioni e di danni irreversibili alle economie periferiche.

Alla sinistra il dovere di riflettere se lasciarsi cullare ancora nelle illusioni eurosolidali e persino nelle proprietà magiche di Draghi o pensare ad altro.