Una Fondazione per strutturare un “islam di Francia”, nella speranza che sia sufficiente a calmare le reazioni contro alcuni epifenomeni dell’islam “in Francia”, fomentati da destra e estrema destra mentre il paese è già entrato in campagna elettorale per le presidenziali di primavera, con una prima offensiva attorno al “burkini”. Sono iniziate ieri le ultime “consultazioni” del ministro degli Interni, Bernard Cazeneuve, per la Fondazione per l’islam di Francia, che sarà operativa dal prossimo novembre, una doppia struttura, una a carattere culturale l’altra cultuale. Alla testa della prima Fondazione è stato confermato Jean-Pierre Chevènement, 77 anni, ex ministro degli Interni dei tempi di Mitterrand: una candidatura che sta già sollevando polemiche, perché Chevènement non è musulmano e la scorsa settimana, in pieno nervosismo sul burkini, ha invitato i musulmani alla “discrezione” nello spazio pubblico, perché il paese vive “un periodo difficile” dopo gli attentati. Comunque, l’obiettivo è inserire meglio l’islam nella società laica francese, con una seconda Fondazione che dovrà occuparsi di trovare i finanziamenti per la costruzione di nuove moschee, a livello nazionale (mecenatismo, tassa sui prodotti halal) evitando cosi’ soldi dall’estero. Lo stato parteciperà finanziariamente solo nella prima Fondazione, quella culturale (un milione di euro), che avrà nella direzione varie personalità, tra cui anche lo scrittore Tahar Ben Jelloun.

Intanto, il “burkini” è ormai diventato argomento di campagna elettorale. “Una questione derisoria trasformata in dibattito nazionale ossessivo”, come l’ha definita la ministra della Casa, Emmanuelle Cosse, sta spaccando a destra e a sinistra. Nicolas Sarkozy, che ha ufficializzato la candidatura per il 2017, si è buttato sul burkini, chiedendo una legge specifica per proibirlo, senza fermarsi neppure di fronte a un’eventuale modifica della Costituzione (dopo la decisione del Consiglio di stato del 26 agosto, che ha giudicato “illegali” le ordinanze dei sindaci anti-burkini, considerate “violazione grave delle libertà fondamentali, di andare e venire, di coscienza e di libertà personale”). Gli ha risposto Alain Juppé, suo principale rivale alle primarie della destra, che rifiuta “una legge di circostanza” e chiede di “smettere di gettare olio sul fuoco”. Nel governo, il primo ministro Manuel Valls ha preso una posizione isolata: la decisione del Consiglio di stato “non esaurisce il dibattito”, perché “denunciare il burkini non significa rimettere in causa una libertà individuale”, ma “denunciare un islamismo mortifero” che necessita di “un dibattito di fondo”. Cazeneuve vorrebbe chiudere la polemica e afferma che il governo “rifiuta di legiferare su questo argomento, perché una legge sarebbe anticostituzionale, inefficace e tale da suscitare antagonismi e irreparabili tensioni”. Il Consiglio di stato ha bocciato le ordinanze comunali anti-burkini perché non ha riscontrato turbative dell’ordine pubblico, nel caso di Villeneuve-Loubet, che era chiamato ad esaminare. Ma la configurazione potrebbe cambiare, a causa del nervosismo crescente che ora si sta cristallizzando sul burkini. In Corsica ci sono stati momenti di forte tensione identitaria, a Sisco poi a Bastia. Ieri, su una spiaggia della Gironda c’è stata una battaglia violenta tra un gruppo di nudisti e dei contestatori (considerati pro-burkini?). Nel week end in Bretagna delle persone sono andate in spiaggia vestite, per “solidarietà”. Vicino a Parigi, un ristoratore è stato denunciato per aver rifiutato di servire due donne con il foulard, dopo aver affermato che “tutti i musulmani sono terroristi”. Una trentina di comuni rifiuta di rispettare la decisione del Consiglio di stato sull’illegalità delle ordinanze anti-burkini. La polemica sui vestiti non finirà con l’autunno: è un’introduzione al prossimo scontro, che riguarderà la legittimità del velo nelle aule universitarie.