C’è ancora un po’ di tempo. Per leggere. E allora, di qualunque matrice siano o siano stati o saranno questi giorni con l’estate agli sgoccioli, liberiamoci fino in fondo di un senso di colpa, concediamoci le letture che più ci risultano gradite. E mettiamoci dentro anche lui: il famigerato «food». Se nei circoli più di settore non si fa mistero di quanto ormai sia diventato un argomento asfissiante e ripetitivo, è pur vero che resta comunque un grande successo. Editoriale e non. Allegro, distensivo, si potrebbe dire quasi curativo, il cibo ci nutre concretamente e virtualmente.
In mezzo a tutto ciò, ci sono anche fari di speranza, pensieri alti o semi, approfondimenti scritti da mani leggere e consapevoli. Insomma, qualcosa di interessante sul fronte c’è ancora. Fornelli d’Italia è l’ultimo libro di Stefania Aphel Barzini, già autrice di volumi a stampo enogastronomico, autrice televisiva del periodo d’oro Bonilliano del Gambero Rosso, cuoca, blogger col suo Folle Casseruola, gentile signora bionda e fine intellettuale.
In questo libro prosegue un suo personale fil rouge ormai di lunga data, quello che stringe in maniera indissolubile la figura femminile, con tutto il suo bagaglio complicato e al tempo stesso costruttivo, e la storia, in particolare quella dello stivale. Fornelli d’Italia, edito Mondadori, è un saggio in cui Barzini ripercorre gli ultimi centocinquant’anni del paese attraverso lo spunto della tavola. Ci sono le immancabili ricette, le troviamo però contestualizzate nei vari ambiti storici in cui si sviluppano e veniamo a conoscenza di figure femminili cruciali per le diverse epoche, alcune di queste totalmente ignote a noi, che però ci riportano consigli e sfumature utili allora come adesso. Dalla maionese senza uovo di Petronilla (geniale) alle frittatine di latte di Cordelia. Fino ad arrivare alle icone contemporanee come Nigella, Parodi, Clerici. Si passa dal fascismo al femminismo, «un periodo complicato per me – racconta Barzini – meraviglioso e creativo da ogni punto di vista. Tranne quello culinario. Le donne volevano scappare dalle cucine in cui erano rimaste imprigionate per secoli. Io invece adoravo spignattare. Continuai a farlo, sicura che poisi sarebbe compreso il modo giusto per riappropriarsene».
In questo volume in cui si parla di donne normali e cibo, totalmente disinteressato all’alta cucina e presunti alti chef. Ciò che, coerentemente, viene scandagliato qui è il ruolo ancestrale e storico della figura femminile, concetto ripreso anche dal movimento Women for Expo, di cui Barzini è parte. «C’è una parola che ha una declinazione esclusivamente al femminile: nutrice. È un concetto atavico. Il significato profondo non è solo quello del dar da mangiare, ma soprattutto del prendersi cura. È un contenuto anche politico. È in questa linea che la figura della donna trova, a mio avviso, un suo essenziale modo d’essere. In molti paesi, sono le donne a farsi carico dell’agricoltura. Il nostro ruolo nel futuro sarà quello di avere cura del pianeta. Sarà quello di prendersi sulle spalle la responsabilità di ciò che daremo ai nostri figli, del cibo, nel modo di procurarlo e prepararlo. Per me, tutto ciò rappresenta una speranza, e la dimensione della donna è molto legata a quella della memoria del proprio paese. Questa tendenza genetica del tramandare di madre in figlia le conoscenze, i ritmi, le tradizioni avrà sempre di più un peso fortemente identitario della terra».
Un percorso interessante che ci predispone allo scambio e all’accettazione, mentre ci sfilano davanti le staffette partigiane con il pane e i fucili nella borsa della spesa, i Talismani della Felicità, Wilma de Angelis e nostra nonna. E noi.