Il colpo di scena auspicato dai liberal americani, non c’è stato; i 538 membri del Collegio elettorale, l’insieme dei grandi elettori espressi da ciascuno dei 50 Stati dell’Unione in base alla popolazione, ha confermato il voto dell’8 novembre. Per essere eletto il presidente necessita di 270 grandi elettori, Trump la notte elettorale ne aveva raccolti 306 nonostante Hillary Clinton avesse vinto il voto popolare per 2 milioni 800.000 voti.

Il paradosso è nel sistema elettorale Usa dove non vince chi prende più voti a livello nazionale, ma chi raggiunge quota 270 grandi elettori sui 538 in palio. Al momento del voto i grandi elettori non sono obbligati a votare per il candidato eletto dal popolo in quanto l’istituzione del collegio elettorale che risale ad Alexander Hamilton, uno dei firmatari della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati uniti, era intesa come un dispositivo di sicurezza tra il voto popolare e l’effettiva elezione di un presidente, per evitare che un candidato inadeguato divenisse presidente.

Come pareva proprio in questo caso alla luce delle rivelazioni su Cia, Russia, hacking, affiorate dopo il voto, molte entità premevano per uno strappo, affinché 38 grandi elettori votassero «secondo coscienza». L’idea era sottrarre voti a Trump; la sinistra americana ha imputato il fallimento di questo piano alla mancanza di presa di posizione di Hillary Clinton e dell’establishment del suo partito.

Man mano che il voto confermava la presidenza di Trump, i leader democratici che più si erano esposti contro Trump hanno espresso rabbia e frustrazione verso Hillary Clinton ed i suoi principali alleati, insistendo sul fatto che il loro silenzio è stato colpevolmente decisivo.

Un grande elettore democratico ha dichiarato anonimamente a Politico che decine di democratici del collegio elettorale erano disposti ad abbracciare il piano senza precedenti di votare un candidato repubblicano, ad esempio Mitt Romney, come parte della strategia per convincere gli elettori Gop ad abbandonare Trump.

Tutto ciò di cui avrebbero avuto bisogno, ha detto l’elettore, sarebbe stato un segnale da parte di Clinton o dei suoi maggiori alleati.

L’elettore, pur non facendone parte, ha citato l’esempio del gruppo democratico conosciuto come «Elettori di Hamilton», costituitosi qualche settimana fa per far pressione su i grandi elettori repubblicani.

Il gruppo era composto da 9 democratici e un repubblicano, Chris Suprun del Texas, ed aveva provato ad entrare in contatto con la cerchia di Clinton, ma non aveva ricevuto alcun segnale di sostegno.

I sostenitori di questo sforzo anti-Trump erano rimasti costernati dalla dichiarazione del direttore della campagna di Clinton, Podesta, che su NBC a Meet the Press, domenica aveva detto che se i democratici avessero votato per qualcuno che non fosse Clinton ciò non avrebbe cambiato l’esito delle elezioni.
«La domanda è: ci sono 37 repubblicani disposti a farlo?», si era interrogato Podesta in risposta ad una domanda sulla strategia di votare per un candidato Gop alternativo.

Il commento di Podestà è stato l’unico riconoscimento pubblico dell’esistenza di uno sforzo democratico di evitare al mondo una presidenza Trump. Anche David Axelrod, consigliere superiore di lunga data del presidente Obama, si era espresso contro i tentativi di votare altri se non Clinton o Trump.

«Alexander Hamilton aveva concepito il collegio elettorale come salvaguardia contro qualcuno di inadatto alla presidenza, ma non è mai stato utilizzato nella storia della nostra Repubblica – aveva aggiunto Axelrod lunedì mattina a New Day sulla Cnn – Farlo ora, anche se Hillary Clinton ha vinto il voto popolare e nonostante ciò che è spuntato sulla Russia, credo servirebbe solo a dividere il paese in modo distruttivo e impostare la follia per cui ad ogni elezione il voto del Collegio elettorale sarebbe una sorpresa».